31.7.06

Libano/Israele: Taradash, Pietà pelosa contro Israele


Ora che tonnellate di pietà pelosa e ipocrita si abbattono su Israele dalle cancelleria e dagli editoriali di mezzo mondo bisogna chiedere all’Onu e all’Europa in particolare, che cosa abbiano fatto in questi anni per smantellare l’organizzazione terroristica degli Hezbollah, per prevenire il riarmo nucleare dell’Iran e per impedire che si creassero le condizioni per l’aggressione dal sud del Libano nei confronti di Israele. La domanda precisa è che cosa Onu e Europa hanno fatto in concreto, a che cosa ad esempio un paese come la Francia, ora impegnata in una indecente iniziativa diplomatica contro Israele, abbia rinunciato dei suoi interessi economici. Poiché in realtà nulla di concreto è stato fatto, l’Europa si è cullata come d’abitudine nella quiete prima e dopo le tempeste americane, nella speranza che le cose si mettessero a posto da sole, senza dover rinunciare ad una sola ora di bel tempo o una sola ora di vacanze prepagate. E’ naturale che la rabbia si scarichi ora su Israele, colpevole agli occhi dell’Onu e dell’Europa di difendere le proprio ragioni di esistenza, di libertà e di democrazia anche per conto di un’Europa che i suoi conti spera di non pagarli mai.

21.7.06

Governo: Taradash, Fiducia o non fiducia la Cdl voti no


La decisione del consiglio dei ministri di chiedere (se necessario, quindi di chiedere) la fiducia al Senato sul rifinanziamento della missione in Afgahanistan, è un atto di saggezza e di responsabilità da parte del Governo. Non avere una maggioranza autonoma sulla politica estera sarebbe infatti condizione sufficiente e necessaria per le dimissioni in qualsiasi paese del mondo democratico.
Mi auguro che altrettanta saggezza e responsabilità ritrovi l’opposizione. Poniamo caso che alla fine il Prodi decidesse di non porre la questione di fiducia: sarebbe allora un atto illogico e autolesionista da parte dell’opposizione un voto di sostegno a un Governo senza maggioranza, come da alcuni ipotizzato; e anche una assenza dal voto, come ieri ventilato, si tradurrebbe di fatto nel salvataggio del governo Prodi.
Il voto bipartisan sugli impegni di politica internazionale è una cosa seria. Ma a un patto: che maggioranza di Governo e opposizione condividano quella politica. Ma se il Governo non è in grado di esprimere una maggioranza l’opposizione ha un solo dovere: costringerlo alle dimissioni. Così fan tutti, nelle democrazie.
Oltretutto sulla politica estera nel suo complesso non solo non vi è accordo bipartisan fra Governo e opposizione ma c’è al contrario un contrasto insanabile. L’”equivicinanza” fra il mondo democratico e i suoi nemici praticata da Prodi e D’Alema è infatti la più radicale messa in discussione della politica estera filoatlantica e amica di Israele che ha felicemente caratterizzato nella scorsa legislatura la linea di governo del presidente Berlusconi e del ministro degli Esteri Fini. E quindi il nostro auspicio è che, fiducia o non fiducia, la Cdl voti no.

20.7.06

Oggi in Israele, domani in Europa


Ernesto Galli della Loggia ha scritto ieri sul Corriere della Sera che c’è un’effettiva sproporzione fra la reazione di Israele e il rapimento di tre soldati nella striscia di Gaza e ai confini del Libano ma “ciò che in Israele altera tutte le misure, deforma tutte le proporzioni, è la dimensione simbolica che abita quei luoghi, che spira da quei nomi”. Galli della Loggia dà ragione al ministro degli Esteri D’Alema (anzi: “ragione da vendere”) sul fatto che il comportamento israeliano di questi giorni è segnato da “un’evidente e irragionevole mancanza di misura”. Il paradosso è che GdL sta dalla parte di Israele. Che reagirebbe così per “il significato simbolico del suo popolo, di cui proprio noi europei, se non sbaglio, dovremmo sapere qualcosa: qualcosa che faremmo bene a non scordare”.
E’ una chiave di lettura che non mi convince per nulla. Israele secondo me reagisce in misura del tutto proporzionata alla minaccia che incombe sulla sua esistenza ora e lì.
Chi agisce in nome di simboli, e ad essi è disposto a sacrificare vite umane e prospettive di pace sono i suoi nemici islamici, non Israele, e l’Europa farebbe bene non a “deformare le proporzioni” della realtà, come viene suggerito, ma ad affrontare con lucidità e coraggio l’ennesima crisi mediorientale. Come sta facendo Israele. Vediamo i fatti. Dopo aver smobilitato a prezzo di una grave crisi interna le colonie sulla striscia di Gaza e averla consegnata al governo palestinese, Israele ha visto la demolizione in quei territori non soltanto delle sinagoghe ma anche delle fattorie modello costruite dai coloni, un atto, quello sì simbolico, di intolleranza razzista oltre che di autolesionismo da parte dei palestinesi. E passi. Poi ha assistito alla vittoria del partito terrorista di Hamas nelle prime elezioni palestinesi, e all’insediarsi di un governo che non accetta l’esistenza del suo Stato. E passi. Intanto osservava il riarmo del “partito di Dio” degli Hezbollah ad opera dei siriani, as usual. E passi. Ma anche alla novità dell’aiuto, consistentissimo, offerto ad Hezbollah da parte dell’Iran di Amahdinejad, quel seguace di Hitler che nega l’esistenza dell’olocausto e si ripromette pubblicamente un giorno sì e l’altro pure di cancellare Israele dalla mappa del MedioOriente, mentre si dispone a fabbricare l’arma atomica destinata alla soluzione finale.
Ecco: gli attacchi contro i militari israeliani e la pioggia di razzi sul territorio di Israele dal Libano non sono apparsi al governo israeliano atti generici di ostilità simbolica, ma il segnale che il programma di liquidazione dello stato israeliano ha avuto inizio. Questa è la convinzione di Israele e, nell’impossibilità di controprova, anche di quanti fra noi non intendono assistere alla convocazione, fra qualche anno, di una Norimberga Due chiamata a sanzionare le responsabilità criminali di Amahdinejad, Al Quaeda e Hamas nella seconda distruzione del popolo ebraico. Per scongiurare questa prospettiva Israele sta operando, in modo molto misurato, per respingere la nuova offensiva concentrica del terrorismo islamista. E non fa nulla di più di ciò che è necessario: distrugge le infrastrutture che in territorio libanese consentono la fornitura di munizioni e assistenza agli Hezbollah, e tenta di liquidare le postazioni missilistiche rifornite da Siria e Iran.
Nel comportamento del governo Olmert c’è sì per noi europei un esempio da seguire. Un esempio che non appartiene al culto della memoria, troppo spesso alimento di sacrifici umani e di tragedie politiche incalcolabili. L’ha spiegato benissimo Olmert davanti alla Knesset: “Lottiamo per tutto quello che ogni cittadino del mondo dà per scontato, per cui mai si sarebbe immaginato di dover lottare: il diritto a una vita normale”. E’ la difesa della libertà e della democrazia che è in gioco. Oggi in Israele, domani in Europa.

19.7.06

Chi l'ha detto?


Chi l’ha detto?

Taxi: 'Anche alla luce delle notizie che vengono dall'incontro di ieri al ministero dello Sviluppo economico, a me sembra che sia molto apprezzabile lo sforzo del Ministro Bersani, e che vi sara' senz'altro un qualche miglioramento del servizio’.
Israele: 'Non posso non vedere che, anche dopo l'intervento di D'Alema, resta una qualche (e non lieve) ambiguita'.

a) Giulio Andreotti
b) Pierferdinando Casini
c) Daniele Capezzone

16.7.06

Prodi indecente. Ma perché non interroga lo spirito di Al Zarqawi?



Grande idea quella di Prodi. Il presidente del Consiglio ha telefonato oggi al segretario generale della sicurezza iraniana, Ari Larijani, e, dopo averlo fraternamente informato sull’andamento del G8 in corso a San Pietroburgo, gli ha chiesto di svolgere una mediazione sulla crisi fra Israele e il gruppo terrorista degli Hezbollah, armati e finanziati dallo stesso Iran oltre che dalla Siria. Ma perché nessuno ci aveva pensato prima!
Quella di rivolgersi all’Iran per fare da mediatore in una crisi internazionale su cui è stampata come una croce uncinata la responsabilità dell’Iran stesso è, da parte del presidente del consiglio Prodi, un’idea indecente, va da sé. Inutile richiamare il precedente di Monaco e della lunga letale ignavia europea di fronte al riarmo della Germania hitleriana e alla sua proclamata volontà di guerra. Qui, va da sé, siamo di fronte a un atto di irresponsabilità, di complicità e di vigliaccheria nei confronti dell’Iran del dittatore islamonazista Amahdinejad, a un tradimento dei legami che uniscono le democrazie europee a Israele e a una obiettiva pericolosa inadeguatezza personale.
E però l’idea potrebbe essere rilanciata con vantaggio in altre situazioni drammatiche. Prodi potrebbe ad esempio chiedere al successore di Provenzano di intervenire per porre fine al controllo mafioso del territorio siculo; oppure chiedere a Bin Laden di partecipare alla gara di appalto per la ricostruzione delle Torri Gemelle; o, valorizzando le sue note competenze specifiche, interrogare lo spirito di Al Zarqawi per farsi indicare la località in cui si trovano sequestrati i soldati israeliani rapiti dagli Hezbollah.

13.7.06

W l'Italia

12.7.06

Procurami una password che passo in Procura...


Ma no, non è possibile! Ci sono dunque in Italia cronisti giudiziari che dispongono delle password che danno accesso ai documenti delle Procure su cui grava il vincolo di segretezza o comunque quello della riservatezza. Noi non ci crediamo. E’ vero che ci eravamo stupiti nel leggere quasi in tempo reale su Repubblica le trascrizioni degli interrogatori della povera Gregoraci a Potenza, ma che c’entra? La vecchia talpa del giornalismo a schiena dritta scava, scava, e ci restituisce fra virgolette le “confessioni” della soubrette. E però il ministro dell’Interno Amato è stato informato dal prefetto di Potenza di una situazione che si è venuta a creare proprio nella Procura di RJ Woodkock, quello di Vittorio Emanuele e di Salvatore Sottile, dove appunto il gadget della password sarebbe da tempo fornito ai cronisti (o solo ad alcuni di essi). Amato ha aggiunto che “si tratta di una prassi talmente consolidata che alcuni giornalisti mi dicono esistono ‘contratti di fatto’ tra cronisti e chi fornisce le notizie, e collegamenti tra Procure e giornali per cui viene data al giornalista una password per entrare nel momento in cui un atto viene dato ai difensori”.
La Repubblica che - non si sa perché - si sente chiamata in causa, scrive che si tratta di una grave denuncia che inquieta, ma poi ironizza sulla fonte del ministro che, a dire di Giuseppe D’Avanzo, non sarebbe il prefetto ma un giornalista, uno solo. E ipotizza, in un modo che suona un pochinino intimidatorio, che Amato si sia comportato con “sprovveduta leggerezza” . Per quanto non sia noto un solo caso di “provveduta leggerezza”, Repubblica può aver ragione. E per ora, noi che pure riconosciamo ad Amato ogni qualità tranne quella della “sprovveduta leggerezza”, neutrali e bipartisani restiamo, e giudici terzi come il Gip di Potenza dottor Raffaele Jannuzzi ci sentiamo. Ma, in nome della par condicio, chiediamo non soltanto, come abbiamo fatto ieri, che vengano resi noti i nomi di chi fosse stato a qualunque titolo affittato da Sismi, Digos, Dia e via dicendo, ma anche di coloro che fossero stati pagati in natura dalle Procure attraverso la dotazione di queste preziosissime password. I tempi cambiano: “Francia o Spagna purché se magna”, si diceva da noi quando eravamo poveri; ora che siamo campioni del mondo trionfa la versione sexed-up: “Sismi o Procura purché la lotta sia dura e pura”.

Vendola e le oscure forze della reazione


Arroganza del potere. Fenomeno comune. Ma spesso, quando riguarda la sinistra, relegato fra le cronache di costume. Come le tamarrate di calciatori e veline. Ma è qualcosa di più, perché si fonda generalmente sulla convinzione che la critica è un episodio di un gioco più complesso, interno a un complotto contro il progresso e la civiltà orchestrato dalle forze oscure della reazione E' bene allora tenerne una cronaca. Cominciamo con Niki Vendola, rifondarolo, presidente della Regione Puglia, che si è scagliato con violenza contro un giornalista, peraltro bravo, del Corriere della Sera, Carlo Vulpio. Ecco come ne riferisce il Corriere:

MILANO - «Nel villaggio neolitico spuntano due discariche». È il titolo dell’articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 7 luglio. Nella sua cronaca da Spinazzola, in Puglia, un giornalista di questa testata, Carlo Vulpio, racconta di come sia stata individuata proprio in quell’area, dove sorge un sito archeologico che risale al neolitico, la sede che dovrà ospitare due nuovi stabilimenti da un milione di metri cubi per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani e di rifiuti speciali non pericolosi. Il servizio ricorda anche che in Puglia di politiche in materia di rifiuti si occupa il presidente della Regione, Nichi Vendola, Commissario straordinario per l’emergenza ambientale. E ricostruisce una complicata vicenda, fatta di documenti spariti, giornalisti malmenati, appelli al Consiglio di Stato e pronunciamenti dell’Unione europea.
Vendola si arrabbia e, quello stesso 7 luglio, affida la sua replica a un comunicato che parla di «pericolose insinuazioni», elenca una «serie di imprecisioni», non chiede che la sua lettera venga pubblicata sul Corriere e chiude dicendo che «si sta provvedendo a verificare eventuali azioni legali nei confronti della testata giornalistica e del suo redattore».
Fin qui si potrebbe parlare di normale dialettica, magari un po’ aspra, tra politica e giornalismo. Ma il giorno dopo, sabato scorso, l’agenzia di stampa Ansa batte una notizia dal tono molto diverso. Il fatto, questa volta, è che su una spiaggia del brindisino è stato trovato un finto ordigno con un messaggio indirizzato al presidente della Puglia. Che commenta così: «Non so se si tratti di un atto di goliardia o di intimidazione. Ma so che questi "messaggi speciali" avvengono in un contesto di grande delicatezza: quello della transizione dal regime di emergenza al regime ordinario nella gestione del ciclo dei rifiuti». Poi Vendola spara ad alzo zero: «Ci sono sullo sfondo - dice - interessi economici enormi e nell’ombra si muovono interessi illeciti... Per questo denuncio con energia il ruolo di disinformazione e provocazione politica del cronista del Corriere della Sera , Carlo Vulpio, che, con la tecnica dell’insinuazione e con lo stravolgimento dei fatti, tende ad attribuire alla mia persona un ruolo a favore del cosiddetto "partito delle discariche". Falsità che alimentano un clima pesante e pericoloso». E qui, purtroppo, non siamo più nell’ambito di una normale dialettica tra politici e giornalisti.
I colleghi del CdR del Corriere Elisabetta Soglio, Marco Letizia e Sebastiano Grasso hanno deciso di rispondere alle parole di Vendola spiegando che «giudicano inaccettabile l’attacco del presidente della giunta della regione Puglia al collega Carlo Vulpio, "colpevole" soltanto di aver svolto il proprio mestiere di cronista impegnato a garantire ai lettori un’informazione documentata, corretta e trasparente. È inaccettabile e incomprensibile il tono quasi intimidatorio usato da un politico che dovrebbe avere tra i propri interessi quello di favorire la trasparenza dei propri atti. Chiunque si senta leso può tutelarsi con strumenti idonei nelle sedi opportune, ma non può essere consentito a nessuno, men che meno a chi ricopre un ruolo istituzionale, di avere come obiettivo una testata e un giornalista con accuse gravissime e generiche come quelle avanzate da Vendola».

11.7.06

Farina degli angeli (2)


- Hai visto? Farina fu reclutato da D’Alema..
- Da D’Alema?
- Beh, all’epoca del governo D’Alema, nel 1999.
- E per far che?
- Per aiutare Milosevic a non farsi bombardare dalla Nato.
- Ma che dici! Chi lo scrive?
- Repubblica, che riporta la sua confessione.
- E come l’ha avuta?
- Non lo so, anche se lo immagino.
- Ma non sarà come la confessione della Gregoraci, che poi ha smentito tutto?
- Spataro sta a Woodcock come la traversa sta a Trezeguet, direi. Ma si vedrà. Intanto si legge che Farina era molto amico del ministro degli esteri Dini, all’epoca.
- E volevano evitare la guerra?
- Sì, ma a Milosevic evidentemente non erano bastati i fondi dell’operazione Telekom Serbia.
- O forse gli sembrò che fossero sufficienti per riarmare l’esercito.
- Forse, ma Farina agiva a fin di bene.
- Non ne dubito. Ma non aveva detto che faceva il doppio lavoro per salvare la civiltà cristiana?
- Beh, intanto i musulmani erano quegli altri, i kossovari, eppoi le guerre bisogna sempre scongiurarle.
-E’ vero, anche su quella contro Saddam i militanti cattolici furono in prima linea, contro. Formigoni, ad esempio, si diede tanto da fare allora.
- Specie i suoi amici. Barili e barili di interventi umanitari contro l’aggressione americana.
- Farina c’entra anche in quell’operazione?
- No, o almeno Repubblica non ne parla. Però si è dato da fare per la liberazione delle due Simone e della Sgrena.
- Epperò. E cos’altro ha raccontato ai Pm?
- Un sacco di cose sembra, da rifornire Bonini e D’Avanzo per un bel po’ di giorni.
- Epperò.
- Cosa?
- Ma non c’è scritto sul manuale delle giovani talpe quel famoso antico brocardo umanista?
- Quale? Quello che dice “Salus rei publicae suprema lex?”. C’è, credo.
- No, quello che dice: “Il silenzio è talvolta la migliore risposta”.

Non c'è resa senza spie


Una piccola richiesta al governo (quale esso sia). Potrebbe per favore fornirci i nomi dei giornalisti a qualunque titolo reclutati, rimborsati, salariati dai servizi segreti, militare e civile, dalla polizia, dalla Dia o da qualsiasi altro apparato di sicurezza dello Stato? Così, giusto per darci una regolata.

10.7.06

W Materazzi. Viva


Islam, musulmani contro Materazzi: "Merita di essere ucciso"
da Google News
"Sporco musulmano": secondo numerosi siti web arabi sarebbe questo l'insulto rivolto da Marco Materazzi a Zinedine Zidane, che ha provocato la violenta reazione del campione francese e la sua espulsione dalla finalissima per la coppa del mondo tra Italia e Francia.
E non è mancata la reazione degli utenti arabi su molti siti. I messaggi di sdegno e rabbia per "la grave offesa recata all'Islam" si contano a centinaia. Addirittura, alcune teste calde sono convinte che "Materazzi merita di essere ucciso", per la grave offesa recata all'Islam.

La farina degli angeli va (pure) in crusca. Ovvero se il moralismo travestito da cinismo sia meglio del suo contrario.


- Un vero patriota!
- Cannavaro o Gattuso?
- Ma no, Renato Farina. Ha difeso l’Italia dal terrorismo e la civiltà cattolica dall’Islam.
- Ah sì, e come?
- L’ha spiegato lui stesso. Si è messo al servizio dei servizi per combattere le procure che minano la stabilità dell’Occidente. L’ha detto anche Pera che c’è la guerra e molti fanno finta di niente.
- Si l’ho letto. Ma non sarebbe stato più patriottico raccontare i fatti senza diventare un fatto lui stesso? Così il servizio l’ha reso alla procura.
- Che c’entra. Lui ha fatto il suo dovere.
- Di giornalista?
- Di italiano.
- Bel risultato.
- Mica poteva immaginare che le procure intercettassero pure il Sismi e trovassero le ricevute dei suoi rimborsi!
- In effetti. Farina è un ingenuo. Ma forse gli agenti segreti dovrebbero frequentare un corso di aggiornamento professionale.
- Ma insomma, si tratta di cinquemila euro. Mica era al soldo del Sismi!
- Al saldo semmai. Quattro lire di rimborsi spese per non gravare sul bilancio del suo giornale.
- Più che ingenuo qui è stato coglione.
- Già. Puoi pure deviare dalle strade dell’etica coi pugni in tasca alla Rimbaud, ma se stringi qualche monetina diventi meno credibile. Ma non è questo il problema.
- Ah no? E qual è?
- Quando gli hanno chiesto l’aiutino doveva spiegare a quelli del Sismi che è puerile illudersi di farla franca ficcando il naso nelle stanze della procura.
- E cosa doveva fare allora?
- Il suo mestiere di giornalista e il suo dovere di intellettuale militante, visto che lo è.
- E cioè?
- Raccontare ai lettori che dietro lo scontro fra servizi e procure c’è la questione delle questioni: chi si assume la responsabilità politica della guerra al terrorismo internazionale e delle sue modalità. Il Governo o i magistrati?
- Non mi pare granché come ‘mission’.
- Può darsi. Ma il mestiere di giornalista non è fatto per cambiare il mondo, ma per prendergli le misure.
- Sarà, però a destra Farina lo difendono tutti.
- Omnia munda mundis.
- Su questo siamo d’accordo allora.
- Sì, purché non passi l’idea che per un giornalista di destra è normale – anzi, peggio - è giusto beccare informazioni o fornire notizie e note spese agli apparati dello Stato.
- Pensi a Ferrara e alla sua campagna contro il moralismo della sinistra?
- Il giornalismo di sinistra è impregnato di moralismo, certo. Ma io sono convinto che in genere si tratta di cinismo travestito da moralismo.
- Bravo!
- Grazie. Ma secondo te è bene che a destra prenda piede un moralismo travestito da cinismo?

Il fardello del calciatore bianco

7.7.06

Il corpo separato non è il Sismi, sono i PM


La Procura di Milano opera sulla base delle leggi. Che contemplano da un lato l’obbligatorietà dell’azione penale, dall’altro il reato di sequestro di persona. Azione penale legittima, dunque, quella contro i vertici del Sismi.
Che però solleva due questioni cruciali per la democrazia e per la sicurezza del nostro paese.
Primo: l’obbligatorietà dell’azione penale è, lo sappiamo bene, una finzione giuridica, che permette ai magistrati di selezionare discrezionalmente i fascicoli su cui intervenire, visto che non è umanamente possibile indagare su tutti i reati. E’ allora legittimo domandarsi se davvero i magistrati italiani siano così certi che il Sismi, per fare un esempio, abbia rispettato integralmente le leggi dello Stato quando ha dovuto negoziare per la liberazione delle due Simone o di Giuliana Sgrena. Perché anche in quel caso di “renditions” si trattava. E dal punto di vista della legge poco importava se la si violasse per liberare gli ostaggi dei terroristi in Iraq piuttosto che per sequestrare un terrorista che operava a Milano. Se reati ci fossero stati sarebbero stati compiuti in territorio italiano. Ma si è preferito chiudere un occhio, probabilmente. Una valutazione di opportunità che non c’è stata nel caso di Abu Omar.
Secondo: la legge che regola i rapporti fra i servizi segreti e il governo è del tutto sbilanciata a favore delle garanzie, della trasparenza, del controllo parlamentare. Eredità di un’epoca finita, quella dello scontro fra i blocchi, quando i servizi dovevano vigilare sulla quinta colonna interna e si prestavano a deviazioni di vario genere. Nell’epoca della guerra asimmetrica e delle minacce alla sicurezza nazionale portate dal terrorismo islamico la legge deve prevedere una responsabilità diretta da parte del governo sull’operato dei servizi. La riforma deve essere fatta rapidamente perché l’aspetto più inquietante di tutta la vicenda è che al momento sull’attività dei servizi segreti pende la spada di Damocle di Procure di fatto sottratte a qualsiasi controllo di legalità, e abituate troppo spesso ad operare sulla spinta di interessi ideologici o di impulsi esibizionistici. Oggi in Italia il vero corpo separato non sono i servizi segreti ma le Procure e ciò mette a repentaglio la sicurezza degli italiani.

6.7.06

L'intifada contro Ichino. Ora il presidente della commissione Lavoro si dimetta


Non è l’ultimo proclama di Nadia Desdemona Lioce, la fondatrice delle nuove Brigate Rosse, dalla sua cella di cinque volte ergastolana. Neppure un nuovo “delirante” messaggio anarchico-insurrezionalista. Tutt’altro. Ma leggiamo queste righe, pubblicate sul Corriere della Sera del 4 luglio: “Ho letto l’articolo di Pietro Ichino sul Corriere del 3 luglio. Sono rimasto da un lato esterrefatto, dall’altro ho invidiato l’autore di un simile capolavoro, per l’eloquenza e la retorica che ha saputo mettere al servizio di un attacco feroce e mirato alla Cgil e al mondo del lavoro; ho ammirato la malizia con cui ha voluto processare una parte del sindacato e importanti settori della maggioranza di governo. Davvero un capolavoro di cattiva informazione, sferrato con la sottigliezza e il cinismo di chi sa sputare sentenze con la facilità di chi non prova rimorsi”. E così via. Firmato Gianni Pagliarini.
Se è vero che le parole sono pietre, queste sono pietre da intifada, scagliate addosso per far male. Chi è Pietro Ichino, l’obiettivo di tanto livore? E’ un professore di diritto del lavoro, un giuslavorista, come si dice, e un riformista. Appartiene a quella rara specie di studiosi che rifiutano gli agi economici e psicologici che offre l’obbedienza alla propria ideologia unita alla deferenza verso gli interessi del padrone (perfino quando il padrone è un sindacato).
Ce ne sono, per fortuna, anche nel nostro paese. Ma di alcuni fra loro resta poco più che la memoria dei familiari e dei giusti e una lapide al cimitero: Enzo Tarantelli, Massimo D’Antona, Marco Biagi.
Non a caso Ichino vive da tempo sotto scorta. E’ probabilmente l’uomo più odiato dagli aspiranti guerriglieri del terrorismo comunista (e speriamo che la loro aspirazione sfumi in una vanesia peregrinazione negli inferni delle fantasie sadiche) ora che la mano è passata alla sinistra. Ieri potevano esserlo indifferentemente Marco Biagi o Maurizio Sacconi, come ha spiegato la terrorista “pentita” Cinzia Banelli. Per giunta Ichino è da sempre iscritto alla Cgil, e per due volte è stato eletto in Parlamento nelle file del vecchio Pci, per cui non sfugge all’accusa di essere un “rinnegato”, un “nemico del popolo”. La polemica da sinistra nei suoi confronti non conosce mezze misure. Alla vigilia dell’ultimo congresso della Cgil, il responsabile giuridico del sindacato, Giovanni Naccari, diffuse una circolare interna che a molti suonò come una “fatwa” nei confronti di Ichino, accusato di essere, coi suoi libri e articoli “parte di una campagna che si pone in netta antitesi soprattutto con le politiche sindacali, contrattuali e con le politiche del diritto, anche prospettiche della nostra organizzazione”, una “insidia -aggiungeva - acutizzata dalla autorevolezza accademica, dalla pacatezza dei toni, dalla ampiezza delle argomentazioni, dalla presunta neutralità della scienza, dall’”aura” tecnocratica degli autori che, con sagacia, evidenziano e modulano fatti e tesi in una dialettica funzionale alle finalità di natura sostanzialmente politica che pregiudizialmente si sono posti. Il tutto contando sulla presunta impreparazione dell’uditorio ad affrontare o sostenere l’impatto di tanta sapiente costruzione".
I contenuti della circolare erano talmente settari e intolleranti che lo stesso segretario confederale Guglielmo Epifani dovette sconfessarla. Ma questo non impedì a Gianni Rinaldini, segretario generale della FIOM di ribadire che le posizioni espresse da Ichino erano “incompatibili” con quelle della Cgil. Tutto questo accadeva soltanto lo scorso febbraio. Quale la colpa del professor Ichino? Semplicemente di ritenere necessarie riforme liberali del mercato del lavoro, di criticare il conservatorismo del sindacato, di essere addirittura convinto che la legge Biagi abbia migliorato le condizioni di vita dei precari. Imperdonabile. Ed ecco che di nuovo ieri leggiamo che Ichino “ha messo la sua retorica e la sua eloquenza al servizio di un attacco feroce e mirato alla Cgil” eccetera.
Ma dunque chi è l’autore di questa incredibile lettera, e soprattutto, perché il Corriere l’ha pubblicata?
Non ci crederete, ma l’autore sta in Parlamento. Non ci crederete, ma l’autore è un Presidente di Commissione parlamentare. Si chiama Gianni Pagliarini, fa parte del Partito dei Comunisti Italiani (quello di Diliberto, per capirsi). È stato segretario nazionale della sindacato Cgil per la Funzione Pubblica, ora presiede la Commissione Lavoro della camera dei Deputati.
Io non so nulla di Gianni Pagliarini, al di là di quello che lui scrive di se stesso sul suo sito (contro la guerra in Iraq, contro la devolution, contro il precariato, eccetera, come si può ben immaginare, e come gli garantisce la felice diversità di opinioni che la democrazia liberale non solo autorizza ma anzi raccomanda). Immagino che sia persona civile, rispettosa delle opinioni altrui, amante del dialogo e delle istituzioni. E’ bene immaginare del prossimo tutto il bene possibile, fino a prova del contrario.
Non so nulla dell’on. Presidente della Comissione Lavoro, dunque. Ma so che dopo aver scritto questa lettera al Corriere della Sera, dove si produce in un’aggressione personale di diretta derivazione stalinista contro il suo avversario, dove per confutare idee che contrastano con le sue ritiene necessario prima di tutto confutare il loro autore, additarlo al pubblico disprezzo, denudarlo della sua dignità; dove usa le parole come come in alcuni paesi si usano le pietre contro le adultere; ecco, io so che l’onorevole Gianni Pagliarini non può restare alla presidenza della Commissione Lavoro, e che se questo accadesse proverei vergogna per il Parlamento e per chi in quella posizione lo mantiene.

3.7.06

Taxi a Kabul. Perché dire no a Bersani e Parisi


Il pacchetto Bersani è un’ottima cosa, a prima vista. Ne hanno scritto benissimo, anche distinguendo fra luci e ombre, Nicola Porro sul Giornale, l’editoriale del Foglio, Alberto Mingardi su Libero, Mario Seminerio sul suo blog. Sono le cose che avrebbe dovuto fare il centrodestra, che stanno nei principi e nelle attese suscitate dalla Cdl.
Non sono state fatte perché le pressioni conservatrici sono state fortissime, perché la destra sociale di An è socialista preistorica, perché An nella sua parte postmissina è un aggregato di categorie protette, perché l’Udc ha ramificazioni clientelari, perché Forza Italia non ha mai espresso una sua politica, perché Berlusconi ha dovuto mediare i contrasti piuttosto che governarli. E così provvedimenti liberali, necessari al rilancio della competitività interna e della competizione nel mercato globale sono rimasti nel cassetto, se mai vi sono arrivati, per 5 anni. Il Governo Prodi è dunque riuscito dove la Cdl aveva fallito, nel liberalizzare settori importanti della vita economica. E noi siamo lietissimi che queste misure sulle farmacie, le banche, i notai, i tassì, siano state finalmente prese. Però.
Però non vorremmo che il merito, e i meriti, del provvedimento oscurassero i rischi del gioco politico messo in moto dal Governo.
Primo: si è scelto lo strumento del decreto legge, per evitare il confronto parlamentare. In pratica il CS dopo aver promosso il referendum contro la riforma costituzionale del CD si comporta come se in quel referendum avesse trionfato il SI e l’esecutivo avesse nuovi e effettivi poteri di decisione; ma così non è, e difficilmente tra le materie contenute nel decreto legge si potrebbero riscontrare quei criteri di straordinarietà, necessità e urgenza che sono costituzionalmente imposti per la decretazione d'urgenza. Napolitano lo controfirmerebbe? Se recasse la firma, che so, di Martino, ne dubito molto.
Secondo: il Governo sceglie questa via perché in parlamento una maggioranza trasversale avrebbe inevitabilmente massacrato le misure adottate (non con l’aiuto dei comunisti magari, che sono liberali contro i gruppi sociali avversari, ma di Mastella che mi dite, e di tanti parlamentari che sono i terminali di questa o quella asssociazione?).
Terzo: il decreto è una specie di richiamo per le allodole per tutti i parlamentari del centrodestra che la pensano come noi; difficile sottrarsi alla tentazione di votarlo comunque, in nome degli interessi generali del paese, e di supplire così alle palline nere che saranno depositate da parlamentari della maggioranza.
Quarto: si ricreerà una situazione simile a quella che si va verificando sul rifinanziamento delle missioni miliatari italiane; da un lato un sincero richiamo all’interesse nazionale, dall’altra la speculazione di chi, nell’opposizione, vuole spaccare gli equilibri attuali del CD senza mettere in discussione direttamente Berlusconi e, soprattutto, senza mettersi in discussione.
Quinto: il Governo Prodi, che non ha la maggioranza su nessun provvedimento concreto, ha trovato la formuletta magica per farsi forte della sua debolezza; “agitare prima dell’uso” i vincoli di maggioranza e opposizione e bersi il liquore così shakerato, per giunta ubriacando gli astemi. Botte piena e moglie ubriaca, il sogno di tutti i furfanti.
Dico questo non per diminuire il valore e l’importanza del pacchetto Bersani, né per trovare attenuanti a una CDL che è stata poco liberale e poco liberista, e per questo ha perso il governo. Ma per richiamare noi tutti noi (come Benedetto Della Vedova ha subito fatto, anche in relazione al liberismo selettivo, e forse anche punitivo del centrosinistra, e come tanti nei commenti hanno sottolineato) alla responsabilità di non alimentare con faciloneria, offrendo un aiuto gratuito caso per caso, una politica complessiva che risultasse contrastante con ciò per cui lottiamo. Come si rischia di fare coll’eventuale voto a favore sulle missioni all’estero: benzina ai soldati da un lato e benzina sul fuoco delle polveri in Medio Oriente e in casa di Israele dall’altro.