30.5.07

Corriere delle mie brame, e brame del mio Corriere.


per L'Occidentale
Ok, avevano scherzato. Oggi Il Corriere della Sera affida il suo editoriale a Piero Ostellino, che ci dice in prima pagina quello che, solo e pensoso, in dignitosa controtendenza, scriveva da anni nei deserti campi della pagina delle opinioni: che il bipolarismo in Italia c’è, mancano spesso le idee, più spesso il coraggio, ma insomma la democrazia è quello che è e contano i numeri: “Il successo del centrodestra e la sconfitta del centrosinistra ripristinano il principio dell’alternanza che presiede anche a un bipolarismo come il nostro”. E chi mai avesse voluto interpretare l’intervista di D’Alema al Corriere o il discorso di Montezemolo alla Confindustria come frutto di un disegno politico “dei media”? Macché, si diverte Ostellino, “attribuiva loro poteri e disegni di natura politica che non potrebbero coltivare, e tanto meno manifestare, anche se lo volessero, senza cadere nel ridicolo”. Ma chi dirige il Corriere, Talleyrand? Beh, non so, ma questo è un gran modo di cadere in piedi. Compliments.

Corriere delle mie brame… e brame del mio Corriere. E’ la storia del più grande giornale italiano. Da un lato scalate misteriose per impadronirsi della testata, dalla P2 (un successone) ai furbetti del quartierino (‘na catastrofe). Anomalia tutta italiana, che fa il paio con la proprietà attuale del Corriere, suddivisa in lotti fra i maggiori potentati economici. Dall’altra il giornale che cerca di influenzare il corso della politica. E questo è normale, no? Non proprio. Nei paesi dove la stampa è un potere indipendente, i giornali scendono sì in campo, specie al momento delle elezioni, a sostegno di una parte o di un programma politico. Ma il Corriere fa di più: non si limita a favorire un attore a detrimento dell’altro, ambisce al ruolo di regista, promuove a protagonisti quelle che sarebbero soltanto comparse, si inventa tessiture politiche altrimenti evanescenti. Non è uno specchio, ma un proiettore. Come la Repubblica forse? No, tutt’altro. La Repubblica è uno specchio deformante, che rende mostruosi gli avversari e belli e buoni gli amici, ma la sua scelta di campo è esplicita. E’ un giocatore falloso, ma indossa i colori di una squadra. Il Corriere invece ambisce alla propria indipendenza, la rivendica in testi immortali come, appunto, la “dichiarazione di indipendenza” siglata fra la proprietà e la redazione nel 1973 e sempre riconfermata (anche nell’epoca della P2), fa di questa il segno della propria differenza. E quando decide di scendere in campo indossa i colori di una squadra anglosassone. Vedi l’editoriale con cui Paolo Mieli annunciò il sostegno del giornale alla lista dell’Unione alla vigilia delle ultime elezioni politiche: il direttore volle precisare che la sua scelta non avrebbe in alcun modo influenzato la libertà di esprimere opinioni diverse nei commenti, nei fondi e negli editoriali del Corriere. Impostazione che suscitò la protesta del comitato di redazione, che la giudicò “suggestiva” (traduzione ancora in corso, ndr): “E’ invece tradizione acclarata di tutti gli importanti organi di informazione delle grandi democrazie occidentali, da Le Monde al New York Times al Washington Post, che la linea del direttore si esprima e venga portata avanti con coerenza e continuità negli editoriali, ferma restando la massima apertura di opinioni e interventi”. Primo caso al mondo di un organo sindacale giornalistico che rimprovera al direttore di lasciare troppa libertà di espressione.

In realtà il Corriere aveva già fatto questa scelta, senza gran proclami, nel 1996 (direttore sempre Paolo Mieli) e aveva in precedenza contribuito alla caduta del primo governo Berlusconi facendosi latore (cioè, in linguaggio giornalistico, realizzando un brillante scoop) di una comunicazione giudiziaria per tangenti alla guardia di finanza emessa dalla procura di Milano il 21 novembre 1994 (per inciso, alla fine Berlusconi ne sarà assolto) nel bel mezzo della Conferenza internazionale sul crimine organizzato che Berlusconi presiedeva a Napoli. Direttore anche allora Paolo Mieli.
Scottato dai precedenti il Corriere ha cercato stavolta di sostenere Prodi anche dopo le elezioni. Prima si è inventato l’ottima ma velleitaria agenda Giavazzi, dando quotidiana voce all’ala riformista dei Ds e all’eterogeneo gruppo dei “volenterosi”, poi ha favorito l’emigrazione di Marco Follini dall’Udc, poi ha pompato all’inverosimile l’alternativo (a Berlusconi) Casini. Fino al commento post elezioni amministrative del vicedirettore Pigi Battista che dà di nuovo la linea: basta con la sinistra che fa la sinistra, tutti stretti intorno a Padoa Schioppa, subito un leader vero per il Partito Democratico.
E però ormai lo sanno a via Solferino che tutto questo non basta. E infatti il Corriere è impegnato da un po’ alla costruzione della Terza Repubblica. Qualcuno potrebbe vederci qualche analogia colla vicenda del gran burattinaio che si impadronì del Corriere alla fine degli anni Settanta e che ne fece un potentissimo strumento di influenza politica. Certo, anche allora il Corriere cercò di tessere in prima persona la trama politica del paese. Ma l’analogia finisce qui. Il “Piano di Rinascita democratica” di Licio Gelli era soltanto una copertura di facciata per realizzare imprese molto più losche e mediocri nel campo degli affari e del potere. In realtà la P2 si guardò bene dal mettere in discussione gli equilibri politici dell’epoca: sostenne con fervore il compromesso storico di Berlinguer e Aldo Moro, la linea della fermezza di Pci e Dc contro le Br, foraggiò senza limiti i debiti di Dc, Pci e Psi e dei loro quotidiani di partito, si ramificò in ogni ambiente garantendo il potere a chi ce l’aveva e promettendolo a chi vi aspirava.

Oggi il disegno è tutt’altro. Il paragone giusto è con la prima direzione Mieli. Allora, nel 1994, Mieli aveva puntato molto sull’ingenuità di Occhetto; ora conta, con riserva, sulla spregiudicatezza di D’Alema. All’epoca del crollo della prima repubblica aveva tenuto bordone ai magistrati di Mani Pulite; ora si impegna nel fai da te, coalizzando intorno a un bel libro di due firme prestigiose del Corriere (Stella e Rizzo) le forze che intendono demolire la Casta. Monti, Montezemolo e Montesquieu (quello dei limiti al potere politico) sono le tre emme intorno alle quali si sviluppa oggi il progetto che la quarta tenacemente persegue: la bella politica, immune dai vizi dellla corruzione, dello spreco e dell’arricchimento personale. Come dargli torto? Ma ora come allora l’idea di fondo è la stessa, ed è sbagliata: arrivare a un bipolarismo di stampo europeo, (e quindi) senza Berlusconi. La storia politica della seconda repubblica si è retta però intorno all’assioma contrario: o Berlusconi o niente bipolarismo. Vista la qualità dei progetti in circolazione e la caratura dei potenziali leader è facile prevedere del resto che ancora a lungo Berlusconi potrà dire tranquillamente: “le bipolarisme, c’est moi”. E così ancora una volta il Corriere fallirà nel suo tentativo di supplenza. E magari, chi lo sa, si renderà conto che vestire di panni anglosassoni i consueti intrecci fra stampa, denaro e potere, e dar vita artificiale alle proprie chimere politiche, non è il modo più saggio per rovesciare il sistema delle caste.

21.5.07

Chiamatemi Veltronì



per l'Opinione di domani
Veltroni vorrebbe Letta in un governo di sinistra per le ragioni opposte a quelle per cui Sarkozy ha scelto Kouchner : perché è uno dei campioni del Centrodestra, perché la pensa in tutto e per tutto come Berlusconi, perché è un suo alias. Veltroni vuole un governo smussato, per avere un’opposizione smussata. E questo non è Sarkozy. E’ Berlinguer.

Veltroni l’americano, il kennediano, l’hollywoodiano, ha scoperto la Francia. Lestissimo, il giorno dopo la vittoria di Sarkozy ci ha fatto sapere che l’uomo nuovo, quello della rottura degli schemi tradizionali, in Italia è lui. Veltroni ha cominciato a surfare sull’onda francese approfittando di una fortunata coincidenza, tanto provvida da sembrare ai maligni (come me) costruita a tavolino. Il martedì dopo le elezioni francesi è infatti apparsa sulla prima pagina di Repubblica un’accorata lettera di un elettore di sinistra, tanto insofferente della maleducazione e della delinquenza diffusa tra gli immigrati da temere di essere vittima di una patologica mutazione in uomo di destra. Uno che “guardo Ballarò e Matrix”, uno che “sono stato candidato municipale per la lista Veltroni per Roma”, uno che “insegno alle mie figlie i valori della tolleranza e della non-violenza”, uno che “a 49 anni sto diventando un grandissimo razzista e non lo sopporto”. Niente paura! risponde il giorno dopo il sindaco di Roma, sempre sulla prima di Repubblica: “Invocare la legalità non è politicamente scorretto”. E spiega che “la sicurezza non è di destra né di sinistra” e quindi “per chi minaccia il diritto alla sicurezza e alla legalità dei cittadini, per chi ruba alla società quel bene prezioso che è la serenità, c’è solo una risposta ed è la severità e la fermezza con cui pretendere che rispetti la legge e paghi il giusto prezzo”. Bravò!
Dopo di che Veltroni si è messo al lavoro per convincere il ministro dell’Interno Amato a varare un piano straordinario anti-crimine per le grandi città. Amato, a dir la verità non aspettava l’ora, ma purtroppo a sollecitarlo in questa direzione c’era stato finora soltanto il sindaco di Milano. Cosa assai “politicamente scorretta”. Come ricorderete Letizia Moratti il 26 marzo scorso ha organizzato, presente Silvio Berlusconi, una manifestazione pubblica contro la delinquenza. Il centrosinistra aveva reagito furibondo, a cominciare da Romano Prodi che a Matrix, appunto, aveva replicato seccamente: “Con Milano ci vuole un grande rapporto… Vuol dire che cercheremo di averlo con la Regione e la Provincia”. Per non parlare dei Ds milanesi, che avevano liquidato la manifestazione con una sentenza sommaria: “Letizia Moratti ha distrutto in un solo giorno la sua immagine di Sindaco di tutti i milanesi per portare una modesta manifestazione di commercianti e attivisti di partito ad ascoltare il comizio del Presidente di Forza Italia”. E l’Unità di rincalzo, a titolare il suo commento “Moratti divide Milano” e far dire a Dario Fo che il vero problema di Milano è la Moratti, non la sicurezza: “Perché non dichiara guerra allo smog?”.
Poi Sarkozy straccia la sinistra francese e tutto cambia: la sicurezza non è né di destra né di sinistra - ma se proprio vogliamo dirla tutta è di sinistra. Da Cofferati a Chiamparino a Veltroni a Penati ecco che da ogni parte dell’Italia rossa e turrita spuntano i nuovi Rudy Giuliani.
Il secondo passo verso la definitiva incoronazione quale omologo di Sarkozy (e tant pis per il bayrouiano Rutelli) Veltroni l’ha fatto venerdì scorso. Il giorno prima Sarkozy aveva varato il suo governo e nominato ministro della difesa Bernard Kouchner, fondatore di Medici senza Frontiere ed esponente di primo piano del Partito Socialista. Dal quale il segretario Hollande l’ha prontamente espulso. Veltroni no. Al contrario, parlando a un convegno su Ricerca e Sviluppo, ha fatto sapere al mondo di aver cercato e anche trovato: “Mi auguro di vivere in un paese in cui il bipolarismo sia fatto in modo di permettere a persone di rilievo di far parte del governo a prescindere dagli schieramenti”. E ha fatto il nome di chi vorrebbe che di un “governo siffatto” faccia parte: Gianni Letta.
E qui, diciamocelo francamente, casca l’asino. Perché Letta è un eccellente personalità politica, un preziosissimo mediatore, un infaticabile tessitore, ma è l’esatto contrario di ciò che rappresenta Kouchner per Sarkozy. Kouchner è stato scelto perché, pur militando nel partito avverso, condivide la politica del nuovo Presidente francese sui diritti umani, sul ruolo degli Usa, su Israele. E’ socialista ma la pensa come Sarkozy. Veltroni vorrebbe Letta per le ragioni opposte: perché è uno dei campioni del Centrodestra, perché la pensa in tutto e per tutto come Berlusconi, perché è un suo alias. Veltroni vuole un governo smussato, per avere un’opposizione smussata. E questo non è Sarkozy. E’ Berlinguer, semmai, è il compromesso storico, è il consociativismo, è l’ammucchiata, è la solita storia del bipartitismo imperfetto Dc-Pci, è l’ennesimo b-movie sul gattopardismo nazionale. Prossimamente a Cinecittà.

11minuti 21-5. Il meglio e il peggio dei giornali di oggi.


11minuti
Superbanca: commenti positivi sui giornali, ma la Stampa preferiva la sposa francese. Affare centrosinistro? Profumo non ha bisogno di taxi, dice il Giornale. Tesoretto preelettorale. Rifondazione non ci sta. Ma gli statali avranno quel che vogliono. L'indulto produce crimine. La politica non produce. Veltroni mima Sarkozy (ma torna a Berlinguer). Melandri contro Fassino. Luzzatto: sbagliai su Ariel Toaff.

17.5.07

11minuti 17-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti
Festa di compleanno del governo Prodi. Gli fanno la festa Tps, Ds e Margherita sulla Rai, Rifondazione e i comunisti su Bush, la Chiesa sui Dico, Mastella sul conflitto d'interessi. Tasse: più salate e più complicate. Dai Verdi favoreggiamento esterno all'ecomafia. Per Repubblica Israele bombarda Hamas. Tremonti o Brambilla, Letta o Brunetta? Sarkozy l'americano seduce Barbara Spinelli. Zucconi spiega la vendetta su Wolfowitz. Fuga dei cristiani dall'Iraq.

16.5.07

11minuti 16-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti
Immigrazione e violenza: da Mercedes Bresso soluzione svizzera sulla droga. Governo di sinistra e ambientalista, ma per l'Ue inquina. Dopo il family day i cattolici aprono ai laici, la Chiesa rilancia sul testamento biologico e Fassino si butta sul family gay. Conflitto a sinistra sugli interessi di Berlusconi ma l'Alitalia interessa a governo e sindacato. La maggioranza surgela il parlamento. Il centrodestra è sbrambillato

15.5.07

11minuti 15-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti
In Sicilia vince il centrodestra. Nel governo rivincita della sinistra? Mediaset compra la Rai via Endemol? Annunziata e Reibman sul Family Day. I comunisti non digeriscono i bambini.

14.5.07

11minuti 14-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11 minuti
11 minuti di rassegna e altri 22 di lettura e approfondimenti dai quotidiani di oggi.
Dadullah, ucciso. Un colpo durissimo per i Talebani, che sono in rotta con Al Quaeda. Dove Siete? I Ds si interrogano dopo gli aventini del Family Day e di Piazza Navona e si trovano d'accordo con se stessi. Ma su di loro il fuoco incrociato di Annunziata e Franchi. I Dico in archivio. I gay ora vogliono l'arci-matrimonio. Veltroni assorbe anche Moccia e il Secolo si scoccia.

11.5.07

11minuti 11-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti

Rignano: il Procuratore Capo di Tivoli ci confonde un po'. Droga e Bus: la colpa è di chi vuole modificare la legge. Little Tony (il Manifesto) Blair abbandonato dalla sinistra. Che non è più riformista, né sulle pensioni (dice il Sole) né sul Riformista. Vargas Llosa sul Corsera: ero contro la guerra in Iraq ora non più. La vigilia del Family e del Lay-Day.

10.5.07

11minuti 10-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti
Padoa Schioppa contro tutti. E Prodi rischia il pensionamento anticipato. Rutelli dopo Bindi nel mirino dei laici del centrosinistra. Feltri dice basta allo spezzatino della destra. Veltroni fascista? Bertinotti fra Israele e Hamas.

9.5.07

11minuti 9-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti
Il Partito Democratico non c'è ma è più litigioso che se ci fosse. Padoa Schioppa non cede ai sindacati sulle pensioni. Biondi e Cicchitto non vanno al Family Day. Ferrero e Bonino contro Bindi che non vuole il family gay. Gli ebrei contro Bertinotti, e l'Unità s'infuria. Interviste a Mario Lozano e a Mathias Rust.

8.5.07

Studenti di Teheran, l'ora della crocefissione.


Sta probabilmente arrivando l’ora della vendetta del regime iraniano sugli studenti che l’11 dicembre scorso contestarono pubblicamente il presidente Ahmadinejad presso il Politecnico Amir Kabir di Teheran. Le voci si susseguono da tempo, ma il primo maggio scorso le avvisaglie hanno cominciato a prendere forma concreta. Centinaia di studenti legati al regime hanno infatti invaso il Politecnico per protestare contro pubblicazioni studentesche che “insultavano l’Islam”. La storia è cominciata quando nel campus sono stati distribuiti tre articoli con la testata dei giornali studenteschi. I titoli erano “Nessuno è sacro”, “”Corvi neri” (con riferimento alle donne che indossano il chador) e “Dove trovare più prostitute”. Si tratta con ogni evidenza di un falso fabbricato dal Basij, un corpo paramilitare religioso, per riprendere gli attacchi contro gli studenti. Colpito dalla clamorosa protesta di dicembre il regime ha evitato ritorsioni immediate, ma ora, con l’avvicinarsi dell’anniversario della violenta irruzione della polizia nell’Università del 9 agosto 1999, si va diffondendo la convinzione che verrà presto portata a compimento la minaccia che lo stesso Ahmadinejad rivolse ai contestatori: “Crocifiggeremo gli pseudo-studenti”. I nomi di coloro che innalzarono cartelli e gridarono slogan contro Ahmadinejad sono del resto noti da tempo. Il “Centro d'informazione degli studenti” del Basij, un corpo paramilitare di repressione, ha subito pubblicato i nominativi di sei studenti qualificati come "hooligans” e le foto di tutti gli altri, annunciando che se l’Università non avesse preso provvedimenti sarebbe stato lo stesso Basij a passare all’azione. A sua volta il vice presidente del Majlis, il Parlamento, Mohammad-Reza Bahonar, aveva definito gli studenti “individui in preda all'alcool ed ai problemi sessuali" aggiungendo che "coloro che non si comportano bene devono pagare il prezzo". L’ora sta per giungere.
Nel corso di questi mesi in tutte le Università iraniane la repressione è stata durissima. A gennaio tre studenti dell’Università Shahid Chamran di Ahwaz, nel Sudovest del Paese sono stati condannati a dure pene detentive: Hani Bavi, condannato a 11 anni di reclusione, Lafteh Sarkhe, a 10 e Qasem Karshavi, a 3 anni. Altri due universitari, Asu Saleh e Kiah Hejazi, sono stati condannati a sei mesi di reclusione - sospesi per tre anni - per gli articoli pubblicati in una rivista da loro diretta, Dahang. 
È stata inoltre chiusa, un'altra pubblicazione studentesca, Tahmeh Azadi (Il sapore della libertà), curata dall'associazione degli studenti del Politecnico di Teheran, mentre il più importante giornale studentesco del Politecnico, Vajeh, è stato chiuso per un anno e il redattore capo Hakimzadeh sospeso per sei mesi. E intanto sono saliti a 150 gli studenti “stellati”, quelli obbligati a indossare sull’abito da una a tre stelle le stelle a seconda del loro grado di dissidenza. A tutti è reso difficile se non impossibile proseguire negli studi.
Ma il peggio deve ancora venire. Non sarebbe la prima volta che la violenza del regime o dei suoi gruppi armati si scatena alla vigila di agosto, in modo da approfittare della fine della sessione di esami. Anche quest’anno, prevede il sito di opposizione Roozonline.com toccherà agli studenti del Politecnico essere presi di mira per servire di lezione agli altri a causa dell’audacia che mostrarono l’anno scorso davanti al presidente Ahmadinejad. Nei giorni scorsi la polizia è stata impegnata soprattutto a far rispettare la nuova legge sul vestiario. Nei primi giorni dall’entrata in vigore della legge 150.000 donne sono state multate, fermate o arrestate per aver violato la legge che impone l’uso del velo e la modestia nell’abbigliamento, e molte di esse dovranno subire un processo. L’accusa è di “attenersi a modelli decadenti e di attentare alla sicurezza e alla dignità dei giovani uomini, minando le fondamenta delle famiglia”. Passata l’onda sulle donne immodeste, è in arrivo la tempesta sui “giovani uomini” politicamente immorali. Si avvicina l’ora della crocefissione. I governi e i parlamenti dell’Occidente sono avvertiti

Dispetti 2


Manifesto di Alleanza Nazionale: “La famiglia, il più bel patrimonio della nostra Italia”. Immagine confacente. Incontro per strada un vecchio camerata, uno di quelli che all’epoca era meglio stargli alla larga. Ora è integrato. Gli dico. “Viva la famiglia”. “Viva la fica” risponde. Respiro di sollievo.

11minuti. La rassegna stampa di Marco Taradash


Sarkozy mette in crisi la sinistra italiana. Ma anche la destra. Veltroni se lo accaparra su legge e ordine. La Cdl ci si rispecchia ma non vede nulla. Rutelli scarica il Pse. Bindi no day no gay. Duello a distanza fra Ferrara e Gasparri sull'eterno femminino.
11minuti

7.5.07

Dispetti


Da un manifesto per il Family Day: "Contro la dittatura del relativismo". Ah sì? E io allora sono contro la democrazia dell'assolutismo!

Casini si è ammalato di sarcosite.


Casini lascia Bayrou per Sarkozy. Crederci? Sicuro, se dirà no alla proporzionale e sì al partito della libertà.
“Lo straordinario successo ottenuto da Bayrou alle elezioni presidenziali francesi è il segno che ormai le categorie destra-sinistra non rappresentano più gli umori degli elettori”. Parola di Pierferdinando Casini, intervistato da La 7 subito dopo il primo turno. Nel frattempo qualcosa dev’essere successo se il leader dell’Udc dice al Corriere della Sera di oggi che “se c'è una lezione da trarre dal voto francese, è che per vincere bisogna avere il coraggio di cambiare. Cambiare profondamente”. Intanto ha cominciato a cambiare idea lui stesso. Che non si riconosce più nel centrista francese ma in chi ha dato voce alla destra francese rivendicandone esplicitamente tradizione e denominazione, innovandola in una chiave liberale e atlantica.
Certo, perdersi nei meandri della terminologia è quanto di più inutile e fuorviante si possa fare. La storia politica italiana degli ultimi quindici anni è la riprova di quanto l’uso novecentesco dell’antitesi destra-sinistra non corrisponda più alla realtà. Perfino il più giacobino degli intellettuali antiberlusconiani, Paul Ginsborg, mentore dei girotondi, ha dovuto riconoscere - e dove, davanti alle telecamere di Enzo Biagi! – che fra il leader del centrodestra e la sinistra corre un abisso di modernità. Certo l’ha fatto a modo suo, enfatizzando il ruolo politico della televisione commerciale, ma la sentenza per la sinistra resta senza attenuanti. Dice Ginsborg che “Berlusconi sara' tanto studiato nel futuro e si dirà che e' un uomo eccezionale, che e' un innovatore che ha fatto nel suo modo. Io non sono d'accordo con nulla o quasi nulla di quello che ha proposto in questi anni. Ma lui veramente, a differenza della sinistra, ha saputo innovare, e utilizzando tutte le leve di potere possibile, ha creato il berlusconismo”. Insomma, progresso e innovazione non sono più sinonimo di sinistra, mentre conservazione e staticità ne sono divenuti i connotati culturali più diffusi.
Ma Casini ancora due settimane fa non esprimeva questa convinzione. Al contrario esaltava il “centro” francese di Bayrou, come lo scontato superamento dello schema tradizionale. Destra e sinistra erano finiti emergeva il centro. La composizione degli opposti, l’attenuazione dello scontro, un buon massaggio di moderatismo: questa la medicina per il male italiano, secondo Casini.
Oggi, dopo la vittoria di Sarkozy, e – sospettiamo – dopo il suo straordinario discorso d’investitura, che ha fatto scoprire il neopresidente francese anche a chi finora aveva preferito girare col paraorecchi, Casini si adegua. Sarkozy ha vinto “perché ha innovato, perché ha avuto il coraggio di presentare agli elettori ricette anche impopolari: ha proposto la riforma delle pensioni guardando ai giovani più che al pensionati; ha detto che la scuola deve tornare al principio della meritocrazia e ha puntato l'indice contro il '68 come primo passo verso la deresponsabilizzazione della società francese. Ha evocato l'identità dell'Occidente e ha detto basta alla contrapposizione con gli Usa. E' stato capace di far passare il concetto che la sicurezza non è un tema "di destra', ma un diritto di tutti e soprattutto dei più deboli che alla criminalità sono più esposti”. Meglio tardi che mai. Sentire Casini parlare il linguaggio “estremista” e “berlusconiano” di Sarkozy (come da definizione di François Bayrou) è una gran consolazione per chi aveva puntato da subito sulle qualità liberali del leader gollista. E per chi dubitava che tutte quelle belle cose si potessero realizzare in Italia attraverso un accordo, per esempio, fra Casini e Fassino.
Ma Casini dovrebbe convincerci che la sua è una conversione effettiva e non un tentativo di applicare la teoria dei due forni alla nouvelle cuisine. Un modo per superare tutti i nostri dubbi Casini ce l’ha. Anzi, ce l’offre lui stesso, quando si trasfigura nel neopresidente francese e proclama che ha trionfato “un grande professionista della politica che a 50 anni non ha aspettato che il suo predecessore gli cedesse la leadership, ma è andato a conquistarsela con i fatti”. Ecco, basta che ora Casini aggiunga che certo simili sfide non si possono realizzare all’interno di un sistema proporzionale che impedisce lo scontro fra le personalità dei leader e lo annacqua nella mediazione continua fra le oligarchie di partito. E che si impegni da subito per la costruzione di quel partito unitario del centrodestra italiano che, sul modello dell’Ump di Sarkozy, permetta anche agli elettori italiani di individuare il loro candidato non attraverso il filtro delle casematte, delle ideologie, delle tradizioni, delle etichette e delle clientele, ma sulla base delle idee, dei comportamenti e delle proposte concrete. No alla proporzionale, sì al partito delle libertà. Ecco, quando Casini lo dirà, giuro che crederemo alla sua conversione.

11minuti. La rassegna stampa di Marco Taradash


Sarkozy conquista anche l'Italia. Anche Casini si candida (ma con la proporzionale). Polemica Della Vedova-Pannella sul 12 maggio.
11minuti

4.5.07

Mollate Rino Gaetano!


Dopo l’Ulivo e i Ds, i sindacati. Al festival di Sanremo dei soviet musicalioti, degli zombie sessantottini, della bella gioventù che non matura mai, al concertone del 1° maggio insomma, ci hanno provato di nuovo a mummificare Rino Gaetano. E’ vero, ci sono più cose fra la terra-terra delle zuffe di partito e il cielo del linguaggio politico di quanti incubi la nostra filosofia possa sognare. Che rabbia ad esempio quando la parola “liberale” diventa un prefisso inodore e incolore, cui agganciare qualsiasi desinenza ossimora, e tutti i furfanti si declinano liberalqualcosa, e non c’è leader della sinistra postcomunista degno di questo nome, da Bertinotti a D’Alema, da Mussi a Folena (giuro!) che non rivendichi un suo quarto di liberalismo. Ma lo sopportiamo, tutto sommato è la riprova che avevamo ragione noi quando ci dicevano che liberale voleva dire fascista. E poi ci dissero che radicale voleva dire fascista, e come si fa chiamare ora la sinistra comunista per camuffare le sue origini e non dare troppo nell’occhio? E passi, vuol dire che avevamo ragione. Quando però dall’appropriazione indebita si passa al sequestro di persona, le cose diventano più delicate. Specie se si tenta di sequestrare una storia, una memoria, e di stravolgerne senza scrupoli il senso. Non sto parlando della querelle sul Pantheon del Partito Democratico. No, parlo di una cosa, più seria. Di canzonette.
E di Rino Gaetano. Una cui canzone del 1975, “Ma il cielo è sempre più blu”, è stata abusata l’anno scorso dagli strateghi della campagna elettorale dell’Ulivo e di nuovo l’altra settimana dai registi del congresso di scioglimento dei Ds e poi l’altroieri dal palco di San Giovanni. Rino Gaetano è morto 26 anni fa in un incidente stradale e non può farci nulla. Ma il permesso di utilizzare la sua canzone in un congresso di partito, di qualsiasi partito, o in una campagna elettorale, o davanti a Cgil-Cisl-Uil, non l’avrebbe mai dato, questo è certo. E di sicuro non l’avrebbe dato agli eredi di quel Pci da cui veniva svillaneggiato come un cantante frivolo, un giullare, anarcoide, un disimpegnato. E che svillaneggiava a sua volta, nel calderone (“qualunquista” gli dissero, i ciarlatani) dell’Italia arrugginita e senza antitetanica degli anni Settanta di Nuntereggaepiù.
Dal loro punto di vista i comunisti avevano ragione. Rino Gaetano era lontano mille miglia da ogni forma di intruppamento intellettuale, da ogni conformismo benpensante o progressista, e non era organico a nessuna setta di cantautorato buono tanto per un proletario festival dell’Unità quanto per una borghese ma gramsciana sala concerti. Se De Gregori cantava che la “Storia siamo noi” tutti, dai trinariciuti ai fascistelli erano virilmente d’accordo nel sentirsi marginali ma protagonisti, se Fossati soffiava retorica a pieni polmoni per ordinare all’intontito popolo della sinistra e magari anche a quello democristiano in sonno di alzarsi “che si sta alzando la canzone popolare”, Gaetano faceva l’opposto. Quelli sono inni perfetti, da pagina dei frustrati a congresso, sembrano scritti apposta. Ma uno come Gaetano se tratta di politica scrive “E Beati i professori, beati gli arrivisti, i nobili e i padroni specie se comunisti”, e poi sfotte tutti gli strafottenti: “Eya alalà 
pci psi 
dc dc 
pci psi pli pri dc dc dc dc… Ue paisà 
il bricolage 
il quindicidiciotto 
il prosciutto cotto 
il quarantotto 
il sessantotto
il pitrentotto
sulla spiaggia di capocott..”.
In che modo la sinistra ufficiale si è sempre atteggiata verso Rino Gaetano ce l’ha del resto ricordato l’organo del correntone mussiano, Aprile: “Gli aderenti a quella sinistra che ancora preferisce i brani di Guccini alle più leggere melodie di Rino Gaetano non potranno non riconoscersi nella conclusione a cui Fabio Mussi desumibilmente perverrà.. nel Partito Democratico, noi non ci saremo”. Ancora preferisce, appunto.
Proviamo a immaginare del resto allora come Gaetano canterebbe il Pantheon democratico-sindacale: Invece di “Cazzaniga 
avvocato Agnelli Umberto Agnelli 
Susanna Agnelli Monti Pirelli dribbla Causio che passa a Tardelli..” avrebbe infilzato uno dietro l’altro tutti i candidati: “Berlinguer, Gramsci, Nenni, Craxi, Spinelli, Einaudi, Gobetti, Turati, Gandhi, Madre Teresa, Mandela, John F. Kennedy, Bob Kennedy, Martin Luther King, Willy Brandt, Olof Palme, Maritain, Darwin, Freud”. Il catalogo è questo, non me ne sono inventato nessuno, Einaudi (!) compreso. Rino Gaetano, quanto ci manchi.

3.5.07

Aboliamo il Concertone (e la Chiesa si faccia qualche domanda)


Datemi retta. Il problema del concertone non è Andrea Rivera. E’ il concertone. Partito come manifestazione a sostegno del sindacato si è trasformato nel suo opposto. L’unico servizio che ormai Cgil-Cisl-Uil rendono al mondo del lavoro è infatti l’organizzazione del maxi-concerto, che garantisce ogni anno lavoro e salari a un mare di persone grazie a sponsorizzazioni e alla diretta di Rai3. E pazienza se, come è capitato al Festival di Sanremo, che si è mangiato la canzone italiana, il Concertone si è mangiato il sindacato. In cambio dei cinqueminutini sul palco ne ottengono cinquanta in diretta tv, e la pubblicità vale la spesa. Intanto il mostro si evolve, si ingrossa, s’involgarisce. Grazie a Claudia Gerini, una che presenta gridolinando, proclama di essere cambiata dopo l’ascolto di Chuk Berry, dice tutto con l’esclamativo, Piazza San Giovanni non ha più nulla da invidiare al casinò della Riviera. E’ il festivàl di Sanremo del luogocomunismo, dei soviet cantautorali, del guevarismo inteso come versione politica del bovarismo, vale a dire frustrazione mixata col velleitarismo, del me la canto e me la suono. Eccezionalmente vi brilla una stella, come accadde l’anno scorso con Vinicio Capossela, di solito sono otto ore di bruma musicale e di afrore ideologico. Ma, come accade a Sanremo, l’ufficialità delle riprese Rai fanno del Concertone una ribalta mediatica capace di trasformare ogni comparsa in divetto e ogni banalità in “dibbattito”. Di qui l’appello per un nuovo referendum: aboliamo il Concertone, o in alternativa Rai3. Tanto le botte rischiamo di pigliarle anche raccogliendo le firme solo sulla legge elettorale, come è successo a Segni in Piazza San Giovanni.
Quel che vorremmo davvero scongiurare è che una battuta scontata di un apprendista comico sul Papa e le ambiguità della Chiesa diventi caso politico e affare di Stato. Magari avranno ragione Alberto Melloni, Francesco Paolo Casavola, Antonio Socci: non si scherza col fuoco, e quando le Br minacciano, quando il capo dei Vescovi è sotto scorta, quando i cristiani sono massacrati nei paesi islamici, meglio rinunciare alla critica, all’ironia, alla beffa. Magari. Io la penso all’opposto: non mi importa se le vignette anti-islamiche sono divertenti, ciò che conta è che siano libere di circolare. Non mi importa se Andrea Rivera fa una battuta che non graffia o graffia troppo, ciò che conta è che la dica senza temere ritorsioni (e l’accostamento al terrorismo lo è). Resto dell’idea che la libertà sia il miglior antidoto ai rischi ad essa connessa, e che il terrorismo non farà proseliti se il creazionismo viene messo alla berlina.
E d’altra parte la Chiesa ha oggi l’occasione di riparare a qualche svista metodologica. Mettiamo il caso che qualcuno commentasse così le minacce a monsignor Bagnasco: “Va deplorato con fermezza che vescovi o sacerdoti siano stati e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente.. Ma se il clericalismo viene riconosciuto come un diritto o una cosa buona nessuno dovrebbe sorprendersi se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano”. Tutti noi giudicheremmo inaccettabile e piuttosto ipocrita questo deplorare e insieme comprendere. Lo chiameremmo giustificazionismo. Ma se questi concetti fossero tratti da un documento vaticano sull’omosessualità, cambierebbe il nostro giudizio? Eppure nella “Lettera al Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” firmata, per conto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal Cardinale Joseph Ratzinger, in data 10 ottobre 1986, proprio questo si legge: “Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino... Tuttavia, la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata. Quando tale affermazione viene accolta e di conseguenza l'attività omosessuale è accettata come buona, oppure quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, né la Chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano”.
Credo che di fronte alle minacce terroristiche (quelle vere, non quelle assimilate per comodità) la Chiesa dovrebbe interrogarsi su questo modo di trattare la violenza contro chi non si adegua ai suoi dettami. Deplorare la violenza ma non sorprendersi se chi non rinuncia alla propria libertà ne cade vittima, questo non è ben fatto.