29.11.06

Censura islamica, il Senato è d'accordo?


Si è mai visto in Italia un convegno aperto alla stampa in cui l’organizzazione seleziona a priori i giornalisti cui concedere l’accredito e quelli cui negarlo? Non mi risulta che né il Pci né il Msi dei tempi bui abbiamo mai fatto qualcosa del genere, ma chissà. Succede oggi, in un’aula del Senato, in occasione di un confronto pubblico promosso da un sito internet filo palestinese, infopal.it. Porte aperte per tutti, tranne che per un redattore dell’Opinione, Dimitri Buffa. Sarà un caso, ma sul sito internet degli organizzatori troviamo un’ intervista al leader di Hezbollah Nasrallah, che fra le altre cose dice: “Le bande sioniste, che sono i mercenari dell’imperialismo, utilizzano brillantemente i media. I media occidentali ed in particolare quelli americani sono nelle mani dei capitalisti giudei”. Sarà un caso, ma Buffa è anche uno dei giornalisti più impegnati nella denuncia delle falsificazioni realizzate dai gruppi estremisti islamici e dai loro fiancheggiatori e delle aggressioni che questi portano ai principi e alle pratiche di libertà e tolleranza. Sarà un caso, ma fra i relatori del convegno c’è anche il segretario dell’Ucoii Hamza Piccardo, che certo non considera Buffa fra i suoi estimatori.
A proposito, qual è il titolo del convegno? Questo: “La Palestina dei media, i media della Palestina. Da un’informazione reticente a un’informazione veritiera”.
Straordinario, il passaggio dalla reticenza alla veridicità non poteva cominciare meglio. Con una censura mirata, in un’aula del Senato. All’insaputa, ovviamente, del presidente Marini, cui però tocca, oggi stesso, di riparare all’offesa portata dagli organizzatori a un principio non negoziabile come quello della libertà di stampa.

Deaglio intigna. Lo difendo, ma restituisca il maltolto.


Che Enrico Deaglio avesse compiuto un falso clamoroso col suo Dvd sui presunti brogli elettorali del Viminale, diffamando l’ex ministro Pisanu, l’avevamo detto subito, con Peppino Calderisi, e ampiamente spiegato sulla base delle procedure previste dalla legge, che impediscono al ministero dell’interno di avere la benché minima influenza sulla conta e la certificazione dei risultati elettorali. Procedure che Deaglio ha successivamente ammesso di non conoscere nei particolari (e che in realtà non conosceva affatto e non si era per nulla preoccupato di conoscere). Che la magistratura abbia quindi aperto un procedimento per “diffusione di notizie false esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico” non stupisce affatto. E tuttavia… E tuttavia preferirei vivere in un paese che non prevede reati del genere, o che almeno ne circoscrive l’applicazione a casi specifici. Chi grida al fuoco senza motivo in un cinema pieno di gente va punito con severità, concordo. E Deaglio ha gridato al broglio con la stessa leggerezza di un aspirante piromane e con un tot di faccia tosta in più. Però c’è un bene più importante da tutelare, in questo caso, rispetto all’ordine pubblico. Ed è quello della libertà di espressione. Che, ad esempio, viene tutelato negli Usa come un bene assoluto: altrimenti quante galere riempirebbero i falsari e negazionisti che attribuiscono gli attentati dell’11 settembre 2001 a un complotto governativo? Uno Stato liberale non teme attentati alla logica, al buon senso e alla verità, e trova nella libertà di espressione il suo baluardo più forte. Quanto a Deaglio faccia un primo passo: si documenti e smetta si raccontare ancora balle, come fa ancora oggi sul Corriere della Sera affermando che la percentuale delle schede bianche è uniforme su tutto il territorio, mentre in realtà varia significativamente da comune a comune. E poi ne faccia un secondo: restituisca in beneficenza, magari alle famiglie delle vittime del terrorismo e della criminalità, il maltolto, ovvero i bei soldi che il suo “Diario” ha guadagnato con questa operazione sconsiderata.

21.11.06

I Brogli di Deaglio


Lettera di Peppino Calderisi e Marco Taradash pubblicata oggi sul Corriere della Sera
Il film che uscirà il 24 novembre con Diario, il settimanale di Enrico Deaglio, che ci racconta i presunti (e incompiuti) brogli elettorali della CdL, sta ricevendo grande attenzione anche dal Corriere della Sera. Ma la tesi sostenuta nel film è del tutto priva di fondamento e si basa sulla più assoluta ignoranza della legge e del nostro sistema istituzionale. Vediamo di capire. I risultati ufficiali delle elezioni sono accertati e proclamati dagli Uffici elettorali costituiti presso le Corti d’Appello e la Corte di Cassazione (uffici composti solo da magistrati, 83 in tutto) in base ai verbali trasmessi dai seggi elettorali. Al riguardo il Ministero dell’Interno e l’esecutivo non hanno alcuna competenza perché in Italia vige, almeno in questo caso, il sistema di separazione dei poteri. Il Viminale non viene neppure in contatto con le schede votate e con i verbali dei seggi. La sera dello scrutinio il Viminale diffonde solo risultati ufficiosi senza alcun valore giuridico-formale facendo semplicemente la somma dei dati comunicati via telefono, fax e computer dai Comuni attraverso le prefetture. Quand’anche volesse alterare (con un software malandrino, spiega Deaglio) questi dati, ciò non servirebbe a nulla: il Viminale verrebbe smentito clamorosamente dopo pochi giorni dalle Corti d’Appello e dalla Cassazione. Ma, al contrario, gli 83 magistrati di cui sopra hanno confermato i conti del Viminale. Per cui possiamo dire con certezza che la tesi del film di Deaglio è stata già smentita dalle Corti d’Appello e dalla Cassazione.
La sera dei risultati elettorali è stata proprio la CdL a far presente che i risultati comunicati dal Viminale erano solo ufficiosi e che - in considerazione della differenza minima dello 0,6 per mille e dei possibili errori materiali nella trasmissione dei dati - bisognava attendere i risultati ufficiali della Cassazione prima di poter sapere con certezza chi avesse vinto le elezioni (e forse sarebbe stato bene che a dirlo fosse lo stesso Ministro dell’Interno, ma possiamo immaginare a quale “linciaggio” sarebbe stato sottoposto in tal caso da parte del centrosinistra). E’ stata ed è ancora la CdL a chiedere una verifica, di competenza della Giunta delle elezioni delle Camera, in particolare proprio sulle schede bianche e nulle (la cui diminuzione è dovuta ad una serie di ragioni che non abbiamo lo spazio per illustrare, ma soprattutto all’estrema semplicità della scheda di votazione usata stavolta). Finora è stata proprio la maggioranza a opporsi a queste verifiche.
Ci chiediamo: possibile che venga dato tanto spazio ad una tesi del tutto campata per aria che riguarda i risultati ufficiosi che non contano nulla e si presti invece così poca attenzione alle verifiche sui risultati ufficiali da parte della Giunta delle elezioni? Certo, il complottismo è un genere che tira, dall’11 settembre fino al Codice Da Vinci, ma alzare tutto questo polverone su un presunto broglio in primo luogo inutile (e già basterebbe), in secondo luogo smentito da un organo terzo come la magistratura, in terzo luogo comunque ininfluente sul risultato, non finirà proprio per impedire quei controlli dei risultati reali che vengono invece realizzati in tutti gli altri paesi quando la differenza di voti è così esigua?

20.11.06

Diliberto? Un capro espiatorio.


Fare di Oliviero Diliberto il capro espiatorio delle sconcezze che andrebbero a macchiare l’immagine della politica estera governativa è una ipocrisia bella e buona. Diliberto si comporta da comunista coerente con i suoi pregiudizi e la sua storia, va da sé. Ma il problema è nel Governo e in particolare nei Ds, tanto nella politica estera di D’Alema, piena di pregiudizi verso gli Usa e Israele, quanto nella versione edulcorata che ne dà Piero Fassino. D’Alema continua a cercare soluzioni astratte, senza porre nessuna vera condizione ai suoi interlocutori privilegiati, Hamas e Iran, a profondersi in riconoscimenti delle loro buone ragioni, a liquidare come insignificante il problema dei problemi, cioè il riconoscimento del diritto di Israele di esistere. Fassino da parte sua, in una lettera al Corriere della Sera di sabato scorso, ha evitato accuratamente di ricercare origine e cause della ultracinquantennale crisi mediorientale e si è limitato ad un generico e buonista appello alla pace e alla convivenza fra due Stati che riconoscano il diritto all’esistenza l’uno dell’altro. Nel far questo ha citato gli accordi di Oslo fra Rabin e Arafat del 1993, ma ha omesso qualsiasi riferimento al fallimento delle trattative di Camp David, quando Arafat respinse all’ultimo momento l’offerta del primo ministro israeliano Ehud Barak di un compromesso che soddisfaceva per oltre il 90% le richieste territoriali palestinesi. Strana dimenticanza. Se Arafat infatti puntava a liquidare Israele attraverso la via demografica, imponendo il ritorno in Israele dei cosiddetti rifugiati, Hamas non intende riconoscere l’esistenza dello Stato di Israele in nessun caso. Si può essere neutrali sempre e comunque fra chi si difende e chi aggredisce? Fra chi nega il diritto all’esistenza e chi questo diritto già riconosce? Sì, dicono il Governo e la sua maggioranza, in nome della pace. Se questa è la scelta, e se per mantenere il punto occorre di volta in volta respingere le richieste Usa e Israeliane di una comune fermezza occidentale nei confronti di chi ha come obiettivo la distruzione dell’avversario, che senso ha dare addosso al segretario del Pdci? Forse soltanto quello di dirottare le critiche sull’anello debole di una catena che lega tutti i partiti di governo a una politica estera cinica e inconcludente, oltre che drammaticamente rischiosa per Israele e per l’Italia.

6.11.06

Diamo un'anima al Centrodestra (possibilmente libertaria...)


‘Le Ragioni dell’Occidente’ è un mensile che esce a Forlì, diretto da Franco Fregni e vicediretto da Nicholas Farrell. Nel numero di novembre ha pubblicato una lunga intervista a Marco Taradash, firmata da Gianfranco Angelucci, scrittore e regista.

Partiamo dal personale: un padre americano che arriva in Italia come militare dell'esercito di liberazione e una madre italiana. Quale delle due anime prevale?
Mi sento italiano a tutti gli effetti, anche se non in sintonia con la concezione di uno Stato che grava pesantemente sulla società; a questo riguardo appartengo spiritualmente all'America, avendo sempre creduto maggiormente all'individuo rispetto alle organizzazioni sociali e alla Stato. Soprattutto essendo vissuto a Livorno, città comunista e oppressiva, dove il meccanismo è stato sempre quello opposto, di affidare al corpo sociale il destino dell'individuo.
Mi sembra di scorgere sia a destra che a sinistra una certa ansia di rifondazione, come se si avvertisse in Italia la necessità di ricominciare da principio.
Io credo che sia necessario abbandonare, più che rifondare, le vecchie culture, a cominciare da quella comunista che è da gettare nel cesso della storia rapidamente e senza rimpianti. C'è invece da recuperare la democrazia politica, in un Paese in cui non se ne conoscono il significato né i meccanismi. I cittadini italiani sono molto liberi, hanno pochissimi limiti alla loro libertà, ma sono sudditi politicamente. Cioè non possiedono voce in capitolo nelle scelte politiche.
Chi sono i despoti?
L'oligarchia dei partiti. Mentre al tempo del regime partitocratico c'era pur sempre la possibilità di diventare partitocrate, naturalmente accettando le regole; oggi ci sono delle oligarchie invisibili, che non hanno sede, luoghi di presenza fisica, accessibilità.
Nell'assetto politico attuale non c'è dunque più possibilità di far sentire la propria voce?
Per il cittadino assolutamente no. E per chi vuol far politica l'impresa è una fatica disumana, a meno che non venga accolto - specifico “accolto” - nelle stanze dell'oligarchia. Ed è una situazione che non può reggere perché siamo l'unico Paese “democratico” occidentale del mondo a vivere una situazione di questo genere.
Quindi la necessità di un movimento che ripristini la coscienza di questo diritto di far politica.
La coscienza del diritto di avere non soltanto la gestione della propria vita personale, che oggi è indubbiamente concessa agli italiani, ma anche la padronanza di decisioni completamente in mano ad altri. Faccio un esempio: sulle questioni di coscienza è ormai luogo comune dire: lasciamo libertà di coscienza ai parlamentari. Quando è invece auspicabile che i parlamentari si preoccupino di lasciare libertà di coscienza ai cittadini. Riguardo ai più recenti e complessi problemi di etica quasi tutti i parlamentari, in perfetta buona fede, esprimono una mentalità autoritaria o confessionale o conformista, e dunque in contrasto con l'orientamento dei cittadini comuni. Mi chiedo come possa essere considerata un valore la loro libertà di coscienza.
Ma questo sembrerebbe una caratteristica della democrazia rappresentativa nelle società avanzate. Negli Stati Uniti il cittadino medio è lontanissimo dalla politica centrale.
E viceversa. Anche la politica in America è molto distante dal cittadino, cosa che non avviene in Italia dove la politica influenza moltissimo persino il costume quotidiano. Inoltre negli Stati Uniti ci sono modi completamente diversi di partecipare alla politica, non attraverso i partiti bensì attraverso le fondazioni, le associazioni, i gruppi di interesse, le lobbies, le associazioni religiose. Esiste una pluralità di strumenti che manca all'Italia.
Quali sono le strategie del movimento: come arrivare a far sentire la propria voce?
Innanzitutto noi abbiamo fatto una scelta di campo privilegiando il Centrodestra del quale condividiamo la quasi totalità dei principi. A cominciare dalla politica internazionale e dalla scelta di schierarsi a fianco dell'America, di Israele, contro i regimi autoritari. Di far parte insomma della coalizione dei volenterosi, quella vera. Sul piano dei diritti civili, anche se con tutte le anomalie italiane, il Centrodestra si pone sul versante del garantismo, mentre il Centrosinistra è sul versante del giustizialismo. La terza buona ragione è che il Centrodestra crede al mercato, anche se non sempre lo pratica, e il Centrosinistra non ci crede anche se magari lo pratica più spesso della Destra. Sul piano storico il Centrosinistra è l'erede della Prima Repubblica, e per questo non ci piace; ma ci poniamo in posizione critica anche con il Centrodestra di cui scorgiamo tutti i limiti di coraggio nel perseguire un programma di autentico liberalismo. Le posizione critiche non vengono mai accettate volentieri; nonostante ciò noi crediamo di giocare un ruolo importante, interloquendo con alcuni milioni di liberali in pectore che in Italia non votano il Centrodestra perché non sono soddisfatti del suo moderatismo. Il compito del Centrodestra dovrebbe essere di riunire moderati e liberali, mentre a noi sembra che la voce dei liberali sia scarsamente rappresentata.
I tempi di questa sensibilizzazione?
Come strategia abbiamo scelto un rapporto politico privilegiato con Berlusconi. Che però non è ricambiato. Noi crediamo che Berlusconi oggi in Italia rappresenti l'unica garanzia del cambiamento e non, come sostengono i suoi avversari, un elemento di ulteriore chiusura delle oligarchie. E questo proprio in virtù delle sue pretese anomalie; cioè per il fatto che non è un politico di professione, anzi è un anti-politico. I suoi difetti – che per noi sono pregi - in realtà costituiscono nell'attuale situazione italiana l'unica speranza di un radicale cambiamento verso una nuova concezione della politica. In linea con i criteri liberali che gli appartengono direi per istinto. Noi offriamo a FI un rapporto federativo, portando in dote un seguito non trascurabile su cui possiamo contare nel mondo radicale e libertario.
Quindi un liberalismo molto diverso da quello storico e conservatore alla Malagodi.
Esattamente all'opposto, assimilato piuttosto alla dottrina evolutiva di Pannella, che può riassumersi nel trinomio: liberale, liberista e libertario.
Un liberalismo post- moderno?
Non so cosa possa essere la post-modernità per un Paese che non ha conosciuto bene neppure la modernità. Mi accontenterei già di questa: vale a dire il più grande rispetto per l'individuo e nessuna tentazione giacobina al suo interno. L'antigiacobinismo è una caratteristica del nostro liberalismo, di stampo più americano che francese. Non ci piacciono le nostalgie giacobine, la critica a priori alla Chiesa o alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), o alle scuole private cattoliche e tutte le altre polemiche strumentali.
Indichiamo, secondo il vostro modo di vedere, chi è dentro e chi è fuori. Berlusconi?
E' dentro per default, ad honorem, perché ha creato in Italia la condizione di tale trasformazione.
Fini?
Fini sta facendo progressi.
Casini?
Direi che rientra nella tradizione democristiana italiana, la vecchia cultura politica.
Nel Centrosinistra?
Fra i partiti non salverei nessuno (i radicali sono un caso a parte). Ci sono delle personalità liberali, da Franco Debenedetti che è stato appena cacciato, ad altre figure isolate. Ma la cultura del Centrosinistra e soprattutto la sua mentalità, è decisamente illiberale.
Veltroni?
E' un impasto di tutte le tradizioni paternaliste italiane, da quella democristiana alla comunista, con una venatura di modernità molto spinta.
Giuliano Amato?
E' un brillante socialdemocratico. Nella sua cultura comunque lo Stato ha un ruolo preminente rispetto all'individuo. Gli sarebbe impossibile considerarlo come nemico.
D'Alema?
Assolutamente sull'altro versante, in ogni tempo e in ogni luogo.
Prodi?
E' un democristianone, un boiardo di stato. E uno dei misteri italiani è come la sinistra possa trovare in lui un fattore di sintesi.
Forse una matrice comune.
Certo, la sinistra è fatta anch'essa di boiardi, di apparatnik...
E la Lega? Bossi?
Bossi, come Pannella, è innanzitutto un animale politico. Quanto l'uno è molto colto e generoso, tanto l'altro è dotato di un grande fiuto, ma senza mai uno sforzo convinto di trasformare la furbizia in intelligenza politica.
Eppure anche Bossi è contro lo Stato.
Sì, ma in modo protestatario. Sa aprire degli spazi che poi non si preoccupa di riempire.
Quindi il Senatùr non rientra nella vostra cornice.
Rientra in qualità di alleato, come anche Casini, che però rappresenta la conservazione.
Di fronte alle grandi scelte, come per esempio l'invasione del terzo mondo, il tuo Movimento come si pone?
Si schiera contro gli intolleranti. Si erge a difesa di Van Gogh, della Fallaci, di Benedetto XVI, di tutti i bersagli dell'oltranzismo fanatico e fondamentalista. Dobbiamo difenderci dalle minacce ai nostri valori, che noi chiamiamo occidentali ma che appartengono indistintamente all'intera umanità. Siamo contro il relativismo rispetto ai valori universali. E, al contrario, siamo per il relativismo che mette in discussione i valori assoluti, che è una posizione ben diversa. Ci schieriamo dalla parte di chi agisce duramente contro i nemici dell'Occidente, e quando è necessario persino dalla parte della CIA che rapisce il terrorista nella sua azione di intelligence. Sono emergenze che non debbono diventare una regola, ma neppure causare assurde lacerazioni nel nostro sistema dei servizi segreti.
E la proliferazione di terroristi nelle moschee che si costruiscono in Italia?
Io credo che l'UCOII costituisca un grave pericolo, e dunque sia necessario difendersene, isolandolo e contrastando la sua crescita. Impedire all' UCOII per esempio di costruire moschee che, nelle loro mani, non sono luoghi religiosi, di preghiera, bensì centri di indottrinamento. Nostro compito è quello di salvaguardare i musulmani laici e liberali, i quali vanno appoggiati e difesi.
Personalmente lei può essere considerato l'ideologo del Movimento?
No, assolutamente, cerco soltanto di dotarmi di buone letture finalizzate all'azione politica. Il mio ruolo è di animatore di una iniziativa politica. Con tutta la scomodità che questo ruolo comporta in un'Italia dei partiti che pretende soprattutto obbedienza e certezze. Compreso Berlusconi, che noi adoriamo, mettiamo su un piedistallo, in quanto in grado di buttare all'aria incrostazioni e compromessi alla base della mentalità conservatrice nel nostro Paese. Neppure lui, alla fine, ci prende minimamente sul serio. O forse ci prende troppo sul serio. Tanto che preferisce non aver a che fare direttamente con noi, e evita di darci una rappresentanza parlamentare adeguata, di permetterci una visibilità televisiva.
Cosa teme?
Ma nulla, è solo diffidente. In un'Italia in cui i partiti vivono di finanziamento pubblico, noi siamo costretti a languire. Mentre potremmo assicurare al suo schieramento un serbatoio di voti che non sono in competizione con quelli di FI, in quanto rastrellati in partitbus infidelium, cercati cioè nel consenso di quei liberali che magari non votano più perché non trovano in questo Centrodestra una risposta soddisfacente. Penso che per lui il prezzo di questa nostra azione possa valere la candela.
E come fate a sostenervi?
A fine novembre, se non intervengono fatti nuovi, saremo costretti a chiudere la nostra sede, che è l'unica ricchezza che possediamo oltre al sito internet. Ma non chiuderemo baracca, questo è certo.
Perché un movimento esterno e non interno a un partito, come appunto FI?
Perché FI non è un partito. Se lo fosse ne faremmo parte. Invece si tratta di un non partito, di un non luogo di non comunicazione politica. Sono stato a Gubbio, al seminario di FI che è stato una bellissima immersione di studio e riflessione organizzata magistralmente da Bondi, un autentico innamorato della politica oltre che di Berlusconi. Ma il giorno dopo era tutto finito, dissolto. Ognuno a casa propria. Manca una coesione di partito.
Proviamo a ipotizzare uno scenario possibile, cosa vi augurate per i prossimi anni?
Intanto che la situazione cambi. Si torni ad apprezzare la democrazia per se stessa e non per ciò che finge di essere. Prendiamo Napoli, a dire di tutti una città ormai fuori controllo. C'è l'emergenza rifiuti, ma alcuni paesi dell'interland non vogliono l'impianto termovalorizzatore. Io penso che gli amministratori locali del centrosinistra siano corrotti dalla camorra, oltre che spaventati; e credo che il cittadino si libererebbe volentieri sia dei rifiuti che della camorra stessa se gli fosse data la possibilità di esprimersi in un voto libero e non controllato. La stessa osservazione vale per il resto d'Italia. Bisogna tornare a sentire l'opinione dei cittadini, è l'unica risorsa che rimane per modificare lo stato delle cose. La politica non è più in grado di ascoltare. I partiti non fanno da filtro, anzi agiscono da blocco, da barriera e la politica vive una vita senza sangue e senza fazione.
E i media?
E i media sono un'espressione del potere, come è sempre stato in Italia. Io non credo a una democrazia perfetta, ma da noi l'imperfezione ha superato i limiti, sconfinando in una sorta di dittatura. Un regime in cui sono garantite le libertà personali, e ringraziamo il cielo per questo, ma dove il popolo, il demos, non conta più e non possiede nessuna crazia. Tutto il potere è nelle mani di pochi partiti che stanno ben attenti a non creare neppure uno spiraglio nella cittadella ben fortificata.

3.11.06

La scommessa di Capezzone è persa in partenza


Il segretario uscente dei radicali italiani, Daniele Capezzone, ha detto ieri tante cose giuste: che in economia il criterio del merito va sostituito a quello del censo, che l’ideologia liberalsocialista non ha futuro, che il mantra giacobino della Rosa nel Pugno: “scuola pubblica, scuola pubblica, scuola pubblica” va abbandonato, che occorre allargare la sfera della decisione individuale e privata rispetto a quella della decisione pubblica e collettiva. Una relazione ampiamente condivisibile, a parte la significativa rimozione (con l’eccezione della critica bipartisan sulla Russia di Putin) di ogni accenno alla disastrosa politica estera di equivicinanza fra democrazie e dittature avviata da Prodi e da D’Alema.
Ma Capezzone ha anche riconfermato la scelta di campo nel Centrosinistra, a fianco di un terzo di comunisti o “antagonisti”, un terzo di democristiani di sinistra o di clientela, un terzo di anime perse alla ricerca quotidiana del consenso dei “poteri forti” sindacali o confindustriali. Come da tutto questo possa scaturire una politica riformatrice e liberale (sia pure “di sinistra”, secondo una mappatura ideologica novecentesca che sarebbe bene aggiornare nel Gps della politica di oggi) non è dato sapere.
C'è chi ha fatto una scelta diversa, i Riformatori Liberali, anche questa certo difficile e certamente non predestinata di per sé al successo, schierandosi con il Centrodestra. Ma se vogliamo restituire lo Stato ai cittadini (e quindi dimezzarlo, a livello nazionale come a quello locale, a partire dall’abolizione delle province e dalla vendita delle municipalizzate), restituire la scuola agli studenti e ai buoni insegnanti, consegnare l’economia ai lavoratori e agli imprenditori, avere una politica estera occidentale e “amerikana” e “israeliana”, aprendo spazi di libertà nei paesi sotto dittatura islamica o comunista, è davvero possibile aspettare che il Centrosinistra cambi radicalmente pelle? Ci vuole molta fantasia per crederlo. Certo, stare a “sinistra” offre molti vantaggi mediatici. Ma la scommessa, per i cittadini, è persa in partenza.