30.1.06

Ancora sul latinorum della sinistra...

Ma che cosa intende la sinistra per “par condicio”? Parità di condizioni per tutti oppure che se Prodi non vuole andare in Tv non ci deve andare neppure Berlusconi? Libertà di espressione per tutti, da Sandra Mondaini a Vasco Rossi, e – se capitasse - anche a qualcuno di noi, oppure l’autocensura di Neri Marcorè che non fa più l’imitazione di Fassino perché è riuscita troppo bene e non vuole danneggiare la sinistra? Ci sono proteste specifiche sulla disparità di trattamento eventualmente subita oppure c’è soltanto una lamentazione vittimistica e ingiustificata sulla “sovraesposizione” del premier, accompagnata dall’informazione a senso unico di Tg3 e Raitre? Fino a quando le apparizioni di Berlusconi su questa o quella emittente non faranno altro che far crescere in eguale misura le presenze dell’opposizione, come sta avvenendo, ci si vuole spiegare che senso ha tutto il latinorum in circolazione?

Par Condicio o Censura?

La raccomandazione del presidente Ciampi a che la Rai garantisca una parità sostanziale di condizioni fra le varie forze politiche nelle sue trasmissioni è assolutamente condivisibile. Ed è anzi necessaria, visto il modo in cui Rai3 e Tg3 continuano a svolgere, nonostante l’imminenza delle elezioni, la loro abituale parte di strumento politico consegnato, non si sa bene da chi e perché, in appalto alla sinistra, naturalmente coi soldi di tutti i contribuenti. Poiché però la sinistra continua a fare vittimismo sulla cosiddetta sovraesposizione mediatica del premier, il presidente della Commissione di vigilanza Gentiloni farebbe bene a ricordare a tutti che le presenze radiotelevisive di Berlusconi non hanno creato alcuna situazione di disparità. Come ha segnalato lo stesso Presidente della Rai, il diessino Petruccioli, ad ogni apparizione di Berlusconi o degli altri leader del centrodestra corrisponde un’analoga quantità di presenze dei leader del centrosinistra. E se il candidato premier dell’Unione non va troppo spesso in televisione ciò è dovuto esclusivamente a una sua libera scelta, motivata probabilmente dalla impossibilità di esporre in pubblico un programma comune e dalla conseguente preoccupazione di non sollevare irritazione, proteste e malumori nell’ambito della coalizione. Va anche affermato con forza che la par condicio non deve trasformarsi in un bavaglio alla libera espressione del pensiero e che perciò non devono essere considerate censurabili, e quindi censurate, libere opinioni sulla propria simpatia o appartenenza politica come quelle espresse da Sandra Mondaini fra mille proteste o, in Rai, da Vasco Rossi. Occorre respingere il tentativo in corso di trasformare un principio che deve garantire a tutti pari condizioni di libertà nel suo contrario, imponendo invece una pari e totale negazione della libertà stessa.

26.1.06

L'ideologia anticlericale

Da L'Indipendente del 26 gennaio 2006 pag. 2, di Riccardo Paradisi.

"Un altro 11 febbraio è possibile", ha ripetuto Daniele Capezzone domenica scorsa dai microfoni di Radio radicale. Il segretario dei Radicali italiani si riferiva all’idea di accompagnare la presentazione del programma del centrosinistra, fissato per quella data, con un’iniziativa della Rosa nel pugno volta a rimettere in discussione i patti concordatari tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Come è noto L’11 febbraio del 1929 è il giorno in cui vennero stipulati i Patti Lateranensi, una data di cui la rosa nel pugno vorrebbe oggi rovesciare la valenza simbolica. Proponendo al centrosinistra non un diktat, come i radicali e i socialisti tendono a sottolineare in ogni occasione, ma una proposta da inserire nell’agenda della riflessione della coalizione. L’atteggiamento della Rosa nel pugno, ha fatto scrivere ad Angelo Panebianco che l’anticlericalismo intransigente di Pannella e compagni, frutto di un eccesso di allarme per l’interventismo della gerarchia ecclesiastica, potrebbe avere come risultato l’antagonizzazione dei cattolici della coalizione e più in generale l’indebolimento dei fronti sui quali invece i radicali dovrebbero più insistere a sinistra: libertà, di mercato, garantismo, sostegno alle politiche occidentali.
Ma perché i radicali sembrano in questa fase insistere di più sui temi dei diritti civili e della laicità piuttosto che su quelli più propriamente politici e a sinistra dirimenti, come la politica estera, la riforma del mercato del lavoro, le liberalizzazioni?
Si è detto che la spiegazione potrebbe riposare sul fatto che sul piano ideologico l’anticlericalismo non crea problemi a sinistra, mentre altri temi come il liberismo e una netta posizione filoccidentale li creerebbero eccome. In realtà però nell’iniziativa radicale c’è una coerenza di fondo che non induce a pensare a un calcolo politico secondo cui a sinistra sarebbe più facile far avanzare certe idee “laiciste” piuttosto che altre più marcatamente liberali e occidentali. All’interno del mondo radicale infatti un serrato confronto sul tema del laicismo e dell’anticlericalismo si era già registrato all’ultimo congresso del partito.
Quando alle obiezioni di Benedetto della Vedova sulla non necessità di un animus anticlericale nell’iniziativa politica radicale lo stesso Pannella aveva risposto che forse della Vedova non si sentiva più a casa sua, e che addirittura la sua casa poteva essere un’altra. All’indomani dell’elezione al soglio pontificio del Cardinal Ratzinger del resto, Marco Pannella, aveva dichiarato al Corriere della Sera che l’ispirazione di Ratzinger si era incontrata e integrata con quella di Giovanni Paolo II «nel difficile governo di stampo assoluto del potere magistrale chiesastico sui credenti, sugli ecclesiastici, sulla vita e il pensiero, loro e dei fedeli (ma anche degli infedeli)». Esiste dunque un’ininterrotta linea di trasmissione tra la condotta politica dei radicali terzi rispetto ai due poli e i radicali che oggi hanno scelto il centrosinistra.
Una linea polemica coerente con la convinzione che le gerarchie ecclesiastiche eserciterebbero sullo Stato italiano delle pressioni ideologiche tali da indurre la politica a scelte omogenee con la scala di valori della Chiesa cattolica. Una linea coerente quella dei radicali ma che convince poco nella sostanza delle argomentazioni. Infatti, come si è già sostenuto dalle colonne di questo giornale, quale sarebbe il governo assoluto che la Chiesa o il Papa eserciterebbero su ecclesiastici, credenti o non credenti? E poi quale sarebbe l’impedimento che il Concordato implicherebbe sulla più ampia libertà di coscienza e di scelta?
Su questi aspetti appare più convincente la riflessione dei riformatori liberali. Dice Marco Taradash: «Un conto infatti è reagire alle pressioni clericali, un altro è professarsi anticlericali come se la Chiesa disponesse di un potere talebano».
«Il ruolo della Chiesa», continua Taradash, «è complesso e non può essere ridotto al clericalismo: la rivendicazione di un ruolo pubblico è una cosa ben diversa, soprattutto se fondata su un richiamo all’identità cristiana anziché cattolica».
Insomma, per Taradash, – un radicale storico che assieme a Benedetto Della Vedova non ha seguito Marco Pannella nella sua avventura con il centrosinsitra di Romano Prodi – «è esagerata l’attenzione sull’operato della Chiesa. Anche perché tale prevalenza finisce per marginalizzare altri elementi della politica radicale». Ma soprattutto rende poco convincente una filosofia politica che sembra più frutto dell’ideologia che di una lucida analisi della realtà.

24.1.06

Radicali e ossessione anticlericale

Da"Il velino" del 24.01.06

“Recuperando dal proprio repertorio storico, come Pannella ha fatto, l’anticlericalismo più intransigente e scegliendo una linea ‘zapaterista’ si possono prendere voti ma ci si condanna, rispetto a eventuali processi di aggregazione a sinistra, alla marginalità. Se non altro, perché si antagonizzano i cattolici. Il neo-anticlericalismo, frutto, a mio giudizio, di un eccesso di allarme per l’interventismo della gerarchia ecclesiastica, porta i radicali a sguarnire i fronti su cui più dovrebbero stare. Dove il centrosinistra è più carente: libertà di mercato, garantismo giudiziario, solidale azione fra le democrazie occidentali contro le dittature”. Così, dalla prima pagina del Corriere della Sera, il politologo Angelo Panebianco ha “rampognato” (copyright del segretario radicale Daniele Capezzone) la Rosa nel Pugno e, in particolare, il ruolo di Marco Pannella. Un giudizio severo, contro cui oggi insorge - in un commento che non ha però ottenuto analoga visibilità sul Corriere della Sera - l’editorialista Paolo Franchi, al quale “parlare di neoanticlericalismo”, come ha fatto domenica Panebianco, “che di neoclericali in circolazione a quanto pare non ne vede”, sembra “un po’ troppo”. Interpellato dal Velino, Marco Taradash, portavoce dei Riformatori liberali (i radicali che hanno scelto di schierarsi con il centrodestra), esprime una posizione vicina a quella di Panebianco. “Il ruolo dei radicali nel centrosinistra - dice Taradash - dovrebbe essere quello di aprire un fronte liberista e americano. L’anticlericalismo è più compatibile con la sinistra italiana e con la sua tradizione, spesso tradita nelle pratiche. Ideologicamente, l’anticlericalismo non crea problemi a sinistra. Invece, il mercato e l’atlantismo, l’alleanza con l’asse Bush-Blair rappresentano una rottura forte con una cultura politica che non si è mai liberata di miti marxisti e antiamericani”. Certo, difesa del mercato e atlantismo non sono assenti nell’impostazione della Rosa nel Pugno, “che però oggi come oggi trova il proprio tratto distintivo nell’anticlericalismo”.

Se sul piano ideologico l’anticlericalismo non crea problemi a sinistra, sul piano pratico - continua Taradash - il conflitto nascerebbe, “anche se non ci si arriverà mai. Qualora accadesse, potrebbe riproporsi la contraddizione che si è verificata nel dibattito su amnistia e garantismo: Forza Italia e l’Udc erano d’accordo con i radicali, Ds e Margherita contrari. Se l’azione dei radicali si concentrasse su temi più centrali rispetto alla vita pubblica del nostro paese (penso alla politica internazionale e al liberismo), la sfida avrebbe un maggiore impatto”. Quanto all’anticlericalismo, un conto - sottolinea il portavoce dei Riformatori liberali - è reagire alle pressioni clericali, “un altro è professarsi anticlericali come se la Chiesa disponesse di un potere talebano. L’anticlericalismo, come l’antifascismo, sa di ‘anti’. È giusto essere vigilanti quando ci sono offensive contro la laicità, ma non condivido la professione di anticlericalismo. Il ruolo della Chiesa è complesso e non può essere ridotto al clericalismo: la rivendicazione di un ruolo pubblico è una cosa ben diversa, soprattutto se fondata su un richiamo all’identità cristiana anziché cattolica. Una delle ragioni che ci differenziano dai radicali schieratisi con l’Unione - aggiunge Taradash - è proprio che riteniamo esagerata l’attenzione sull’operato della Chiesa. Tale prevalenza finisce per marginalizzare altri elementi della politica radicale”. Infine, l’esponente dei Riformatori liberali rileva che “scegliere il centrosinistra ritenendolo alternativo alla cultura incentrata sulla partitocrazia e sulla burocrazia, su poteri più inaffidabili che forti, è impossibile: i difensori della sindacatocrazia e del corporativismo sono tutti da quella parte”.

20.1.06

Come si liquida una riforma liberale

Come volevasi dimostrare. La pressione senza quartiere della magistratura organizzata ha ottenuto il risultato di affossare un passaggio decisivo per la riforma liberale della giustizia. Aspettiamo, come usa dire, di leggere le motivazioni della decisione del Presidente Ciampi, che proprio ieri aveva annunciato la sua partecipazione al prossimo congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati. Ma, con le Camere in via di scioglimento, più che di rinvio si dovrebbe parlare di definitiva liquidazione di una legge che avrebbe finalmente dato concretezza al modello del giusto processo di rito accusatorio e dato una scossa alle consuetudini borboniche del sistema giustizia. Oltre a sancire il sacrosanto principio della inappellabilità delle sentenze di assoluzione, la legge Pecorella avrebbe liberato l’organizzazione giudiziaria da una massa enorme di processi e consentito di rendere più efficiente un sistema la cui lentezza rappresenta uno dei costi più pesanti per la società e l’economia italiana. Certo, i Pm avrebbero dovuto rinunciare a una parte del loro potere di lobby e la magistratura nel suo complesso avrebbe dovuto lavorare meglio e magari anche di più. Ci avrebbe guadagnato la libertà del cittadino e la funzionalità delle istituzioni. Evidentemente questo nell’Italia delle caste e della confusione di ruoli non si può avere.

19.1.06

Unipol come Telekom Serbia? Puro autolesionismo prodiano

Prodi fa malissimo a richiamare la vicenda Telekom Serbia come precedente del caso Unipol-Ds. La verità è che la magistratura, pur non arrivando a stabilire responsabilità penali, ha svelato fino in fondo gli aspetti politicamente mostruosi di quell’acquisto.
Il 9 maggio del 2005 i PM torinesi Maddalena, Tinti e Furlan hanno infatti testualmente scritto nella loro ordinanza di archiviazione che “è stato accertato che l'intero prezzo pagato per Telekom Serbia giunse nella disponibilità del Governo Serbo ... E' evidente che la disponibilità di cospicue risorse economiche da parte di quest'ultimo e l'utilizzazione di esse per scopi sociali e di sostegno all'economia si risolveva in un rafforzamento della sua posizione e in una probabile vittoria nelle elezioni che si sarebbero tenute di lì a poco, cosa che infatti poi avvenne..."
Il governo Prodi, con Fassino sottosegretario agli Esteri con delega ai Balcani, acquistò attraverso l’italiana Telecom, ancora controllata dallo Stato, il 29 per cento dell’azienda Serba, versando in contanti oltre mille miliardi dell’epoca direttamente alla banda criminale di Milosevic. Tutto ciò contro il parere dell’amministrazione Clinton, della stessa Telecom e dell’opposizione democratica serba, e proprio nel momento in cui regime di Milosevic, dopo le guerre jugoslave contrassegnate da distruzioni massacri e stupri, avviava i piani per la pulizia etnica nel Kossovo. I 700 milioni di marchi forniti dal Governo italiano consentirono a un dittatore economicamente alle corde di rafforzare l’esercito e di pagare le pensioni arretrate, mettendo il bavaglio all’opposizione interna.
L’operazione Telekom-Serbia voluta dal governo Prodi fu dunque un gravissimo episodio di malaffare politico e citarla a garanzia della limpidezza dell’operazione Unipol è, da parte del leader dell’Unione, oltre che segno di confusione, un atto di puro autolesionismo”.

17.1.06

Per i radicali a destra è dura. Ma a sinistra è peggio.

Colloquio di Riccardo Paradisi con Marco Taradash, da Cronache de L'Indipendente del 17 gennaio 2006, p. 3

SE NON FOSSE per quella promessa di Marco Pannella –«saremo i giapponesi di Prodi» – non si capirebbe l’ostinazione dei radicali italiani nel resistere alla dura vita nella giungla del centrosinistra. Dove le mani tese sono l’eccezione a sconfessioni e ostilità sempre maggiori. Da Prodi che parla di imbarazzo per la manifestazione Pro Pacs di Roma (Pannella, il giapponese, ha detto anche di apprezzare la franchezza), al gelo polare per la nobile battaglia sull’amnistia –bocciata con più forza da Ds e Margherita – l’impressione è che intorno alla rosa nel pugno non vi sia, per usare un eufemismo, molta disponibilità. Peraltro, solo ieri, Clemente Mastella minacciava che se ai tavoli delle trattative ci sarà Marco Pannella lui non si presenterà nemmeno. E sarà pur vero che ai tavoli delle trattative – come ogni volta ricorda Massimo Bordin dai microfoni di Radio Radicale – Mastella a manda sempre un altro, ma qualcuno nel centrosinistra potrebbe preoccuparsi qualora il segretario dell’Udeur prendesse cappello. Anche il generale disinteresse con cui a sinistra si segue la vicenda delle firme che la Rosa nel pugno deve raccogliere da qui alle elezioni per presentare le proprie liste è abbastanza significativa del punto a cui è la notte per i radicali. Marco Taradash, interpellato dall’Indipendente, tenta un’analisi della condizione radicale nel centrosinistra, senza nascondere le difficoltà e i disagi che stanno incontrando anche quei radicali che hanno scelto la Casa delle libertà come strumento per innervare l’iniziativa politica liberale e riformista. «A sinistra», dice Taradash, «si vede chiaramente che al momento c’è uno scontro generalizzato. E la Rosa nel pugno è all’interno di questo scontro in mezzo al quale non so francamente come si possa so francamente come si possa riuscire a trovare un punto d’accordo politico. Tra l’altro », continua Taradash, «l’ultima sortita di Prodi – la lista autonoma – complica ulteriormente le cose. Perché si tratta della richiesta dello scettro del comando rivolta a Ds e Margherita». Insomma, secondo Taradash la piccola nave radicale naviga con fatica tra queste tempeste. «Del resto», continua l’esponente dei Riformatori Liberali, «abbiamo visto sull’amnistia come sia andata a finire: in quella occasione sono stati Ds e Margherita a sconfiggere Pannella mentre con i voti di Forza Italia e dell’Udc quella proposta sarebbe passata. Tra l’altro », aggiunge Taradash, «finora i radicali hanno agitato i temi di maggior compatibilità con il centrosinistra. Figuriamoci quando cominceranno a parlare di economia o politica internazionale. Dell’agenda Gavazzi accanto a Diliberto o di esportazione della democrazia al tavolo con Bertinotti. Allora si che ci sarebbe una deflagrazione con schegge da tutte le parti». Ma se Atene piange Sparta non ride. «Anche per noi esistono difficoltà politiche oggettive» spiega Taradash, «con l’aggravante che noi abbiamo scelto di stare da radicali col centrodestra senza il partito radicale alle spalle, cercando semplicemente di affermare politiche liberali secondo il metodo radicale. Va detto però», specifica
Taradash, «che tra noi e il centrodestra esistono delle sintonie molto forti sui principi della politica internazionale, economica e del diritto. E mi pare che al contrario di quanto capita ai nostri amici nel centrosinistra, qui l’intesa avvenga sui fattori dirimenti». Un esempio concreto?«La legge Pecorella che è stata approvata l’altro giorno» risponde Taradash «che abolisce l’appello dopo la sentenza di proscioglimento. Si tratta di una legge fondamentale per la costruzione dello Stato di diritto in Italia e che finalmente attua concretamente il rito accusatorio. In parlamento invece abbiamo visto il centrosinistra opporsi a
questa legge con uno schieramento unanime e feroce. E fuori del Parlamento
abbiamo visto al lavoro lo schieramento unanime e feroce di tutta la magistratura organizzata. Mi viene da pensare alla difficoltà di Pannella e Capezzone di parlare di giustizia e di civiltà liberale con questa sinistra. Ma poi penso anche che la legge Pecorella dovrebbe essere una bandiera della battaglia politica del centrodestra. Perché fa la differenza sui temi della giustizia tra questo schieramento e una sinistra illiberale ». E invece? «E invece», lamenta Taradash, «non avviene, perché il centrodestra non valorizza quella parte di elettorato laico e liberale che in parte rappresentiamo. Che se da una parte non ha nessuna intenzione di fare con Marco Pannella il giapponese di Prodi dall’altra ha bisogno di vedere sul versante del centrodestra segnali più chiari e più forti. Mi auguro capiti presto». Finora non è capitato. E i liberali riformatori lamentano un silenzio mediatico nei loro confronti che un po’ effettivamente preoccupa

14.1.06

Cinismo DS sulla giustizia

Sotto l’accorta regia dell’Associazione Nazionale Magistrati i Ds hanno annunciato oggi che, nel quadro della demolizione di ogni e qualsiasi legge sulla giustizia votata dal centrodestra, si impegneranno per l’azzeramento della legge Pecorella che stabilisce l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Con cinismo e ipocrisia la legge Pecorella è stata inserita d’ufficio fra le leggi ad personam, come se non fosse invece un passo decisivo verso l’adeguamento dell’arcaico sistema giudiziario italiano ai modelli più liberali e più efficienti. I Ds si accodano in questo modo alla parte più retriva della magistratura, ancora ferma nel rifiuto del giusto processo, nel timore di perdere parte del proprio potere politico.
La posizione dei Ds porta un contributo spettacolare a chi sta esercitando ogni sorta di pressione sul presidente Ciampi per indurlo a rinviare la legge davanti alle Camere. Sarebbe singolare davvero che il rinvio presidenziale, che non è stato fatto per la legge Cirielli, avvenisse invece per una legge che rappresenta una svolta epocale per l’affermazione concreta del processo di rito accusatorio

13.1.06

Una Pecorella liberale, finalmente! Speriamo che svegli gli avvocati..

La nuova legge Pecorella che abolisce l’appello dopo l’assoluzione in primo grado è uno straordinario passo in avanti sulla via della civiltà giuridica. Camera e Senato hanno varato finalmente una legge che corrisponde in modo concreto al processo accusatorio, dopo un’infinità di norme o sentenze costituzionali tendenti al suo svuotamento. Ancora una volta il centrosinistra, votando compattamente contro, ha dimostrato quanto sia forte al suo interno l’intreccio fra cultura autoritaria e interessi della magistratura organizzata. Ancora peggio del voto sono state le motivazioni che l’opposizione ha addotto: da quella più scontata, ma mai come in questo caso peregrina, della “legge ad personam”, alla denuncia di un indebolimento dei diritti delle parti lese – come se compito dei tribunali non fosse quello di accertare la verità processuale oltre ogni ragionevole dubbio – fino al timore che in questo modo i giudici siano più esposti alle tentazioni della corruzione.
Ogni volta che dalle parole si passa ai fatti (vedi il voto di Ds e Margherita sull’amnistia) il centrosinistra dimostra di preferire a un sistema giuridico moderno, quello prevalente nelle democrazie liberali di tutto il mondo, un modello di società punizionista e profondamente illiberale.
Che senso ha, dopo questo duro scontro fra una maggioranza liberale e un’opposizione ultraconservatrice, lo sciopero di tre giorni indetto dagli avvocati penalisti contro la legge Cirielli? La Cirielli si propone da un lato di garantire la certezza dei tempi del processo e della prescrizione, dall’altro riduce (ma non cancella) la possibilità di ricorso a pene alternative per chi compie abitualmente determinati reati. Si può dissentire da questo giro di vite, ma non c’è dubbio che esso rientra nell’ambito delle legittime scelte di politica giudiziaria di un governo. Non è forse il caso che lo sciopero dei penalisti venga revocato?

11.1.06

Tutto quello che D'Alema e Fassino avrebbero voluto sapere sulle cooperative e non hanno mai osato chiedere

I massimi dirigenti dei Ds ancora sabato scorso, nel forum dell’Unità con Massimo D’Alema, e domenica con l’intervista di Repubblica a Fassino, si chiamavano fuori da ogni responsabilità nella vicenda Unipol-Bnl. Visti i sondaggi in picchiata il clima fra i Ds è improvvisamente cambiato, e, contrordine compagni!, comincia qualche ammissione sull’errore compiuto. Ma quale genere di errore? Morale? Quando mai, solo a destra esiste la questione morale no?, come sentenziano i soliti tartufi del moralismo di sinistra che gridano allo scandalo solo in nome della tradita diversità della sinistra (quella sinistra diversità intrisa di razzismo e autoritarismo). Di fiducia mal riposta? Ecco! Sì, è vero, ci siamo fidati delle persone sbagliate, il fedele consorte che ha tradito l’etica cooperativa... E’ su questa linea che l’ “autocritica” dei DS si è attestata (l’autocritica! Possibile che debbano ricorrere alla lingua di legno dello stalinismo anche quando la favola di loro si narra...). E la politica? Ma che c’entra la politica? E’ solo una questione di tifo, ripete come un ultrà sorpreso col petardo in mano, il segretario Fassino: “E se tutto questo pandemonio deriva dal fatto che ho tifato, allora per tagliarla corta dico: bene, ammetto la mia responsabilità. Ho tifato. E se questo è stato fonte di equivoco, me ne rammarico. Ma adesso, per favore, la piantiamo lì?”.
No, ci dispiace. La questione non è né morale né affettiva. E’ politica. E se vogliamo evitare che la politica italiana finisca ogni tot anni direttamente nella discarica giudiziaria, è bene che lo si cominci a capire.

9.1.06

Diversità morale della sinistra? E' una favola autoritaria.

E’ inaccettabile che da Michele Salvati a Fausto Bertinotti, vale a dire dal riformismo moderato al comunismo no global, passando per quasi tutti gli altri, i leader politici e culturali della sinistra continuino a predicare la favola della diversità etica della sinistra e della sua superiorità morale sul resto del mondo. Secondo Bertinotti, che lo ha ripetuto oggi a Radio Radicale, gli intrighi e le ruberie che fanno scandalo a sinistra sarebbero cosa normale a destra, per cui ogni eventuale macchia sul candido tessuto morale della sinistra è soltanto frutto di complicità con la logica del capitalismo.

Per favore smettetela! Guardatevi allo specchio! C’è tutta l’eredità dell’autoritarismo prodotto dalla cultura marxista in queste tesi. In altri tempi questa alterigia di classe avrebbe condotto allo sterminio degli avversari, giustificato appunto dalla superiorità morale del partito guida del proletariato. Oggi, per fortuna, porta soltanto a ripetere in modo saccente le insensate banalità di chi si crede investito da una missione purificatrice in grazia della sua ideologia. La diversità del PCI, tanto frequentemente richiamata, si basava sulle quotidiane “provviste” di rubli sovietici attraverso la mediazione del Kgb e sulle tangenti frutto dell’intermediazione delle cooperative rosse sulle merci dell’Est europeo, gas sovietico in primo luogo.

I fondi rossi del Pci erano cosa diversa dai fondi neri delle aziende di stato che alimentavano la Dc? Sì, per l’origine, ma non erano meno sporchi, anzi. Certamente fondi rossi e fondi neri erano entrambi frutto avvelenato di illegalità e di inganno ai danni degli elettori, innanzitutto dei propri. Quando a sinistra si comincerà a capire che la vera differenza morale non è fra destra e sinistra ma fra chi ruba, truffa e corrompe e chi non lo fa, saremo a metà della strada necessaria per arrivare a vivere in un paese civile dove il confronto politico è fra programmi e non fra etnie in perenne guerra invicile.

"Prodi e Pannella? Neanche un Pacs li unirebbe"

Intervista di Girolamo Fragalà a Marco Taradash, da Il Secolo dell'8 gennaio 2006, p. 4

A dirla come Pier Francesco Pingitore, più che porte chiuse i Radicali stanno avendo "torte in faccia" dal centrosinistra. Nonostante le (poche) dichiarazioni di facciata, le prime settimane di matrimonio hanno riservato brutte sorprese: nessun fiore, nemmeno un regaluccio sotto l'albero di Natale, un pensierino gentile. Solo indifferenza. E nei corridoi della politica, qualcuno maligna che le carte siano già nelle mani degli avvocati per un divorzio lampo. "Leggo la situazione dall'esterno e quindi valuto in manierea indiretta", ci tiene a puntualizzare Marco Taradash, uno dei " dissidenti" eccelenti che hanno preferito non farsi incantare dalle sirene dell'Unione.
Che cosa sta accadendo?
"Quel che è sempre accaduto: c'è una formazione che punta su un programma politico e viene emarginata da chi pensa alla conquista del potere.
Ai radicali non è concesso neppure di partecipare ai vertici della coalizione..
Ancora più grave è il fatto che i Radicali si siano uniti con lo Sdi...e Boselli, in passato, era sempre stato presente alle riunioni dei piani alti. Se uno più uno fa due, significa che c'è una totale preclusione sulla linea politica.
Romano Prodi non si comporta meglio, alle richieste di Marco Pannella risponde sempre a mezza bocca, come nel caso dei Pacs..
Ha timore della reazione degli alleati e delle gerarchie ecclesiastiche e quindi si muove con estrema prudenza. Personalmente ho aderito alla manifestazione promossa da Cecchi Paone e dall'Arcigay per rilanciare il tema perché ritengo che la regolarizzazíone sia un fattore di civiltà.
Nella Cdl, però, in tanti sono contrari...
Certo, ma in una condizione diversa: Berlusconi l'ha detto chiaro e tondo, i Pacs esulano dal programma e quindi ognuno agisce secondo le proprie convinzioni.
Difficile, se non incompatibile, è anche il rapporto dei Radicati con i singoli partiti del centrosinistra. Proviamo a disegnare un panorama partendo dalla Margherita.

Ci sarebbe da sorridere. Quasiasi cosa dica Pannella c'è Rutelti che dice l'opposto. La verità è che la Margherita, con i Radicali, non si unirebbe neppure coi Pacs.

E Clemente Mastella?

Ha trovato in Pannella uno spunto quotidiano di presenza politica. È un gioco delle parti, che, in fondo, giova a entrambi.

Quanto a Pdci e Verdi...
Qui il conflitto è a livello di allarme rosso. La posizione no-global è inconciliabile con quella dei Radicali. E visto che la politica intemazionale è un tema fondamentale, mi è incomprensibile il motivo dell'alleanza con l'Unione.
Passiamo ai Ds. Solo una parte della Quercia è soddisfatta dell'accordo con Pannella. Ma sulla questione morale cominciano i primi segnali di attrito...

Premetto di non condividere Capezzone sul "ben vengano le intercettazioni e
le inchieste giudiziarie". ll problema dei Ds è politíco, è di una questione morale mai chiarita fino in fondo sui finanziamenti. Rivendicano I'etica berlingueriana ma era il Pci ad avvalersi di mediazioni con l'Est europeo e con le cooperative, era il Pci a finanziarsi attraverso rubli e dollari. Non è una novità...
E allora?

Ora siamo in una fase nuova di cui non si conoscono i retroscena e su questo i Ds non dicono una parola chiara perché da noi c'è ancora I'idea del denaro come sterco del diavolo. ll sistema delle Coop è fittizio, fassullo, sono imprese che lavorano sul mercato con determinati vantaggi.
E Rifondazione?
E' l'opposto della cultura radicale. Bertinotti sostiene che i cinesi commettono
le stesse porcheríe degli Stati Uniti e dell'Europa, che a Pechíno c'è libertà religiosa. È un partito che si definisce comunista. Pannella parla di cultura liberale...

Tiriamo le somme...

Se si guarda alla sostanza, tra Radicali e Unione è buio totale.
E il centrodestra?

Condivido la lotta al relativismo. Ma va fatta attraverso valori universali, non assoluti..

3.1.06

Morire (di freddo) per Kiev?

C’è un solo paese in Europa che ancora soggiace a una dittatura, nell’indifferenza generale. E’ la Bielorussia, che permane di fatto un satellite di Mosca e che nel 2004 ha conosciuto l’ennesima finzione elettorale condizionata da brogli e pesanti intimidazioni del presidente Lukashenko. L’Ucraina si trovava nella stessa situazione fino a un anno fa, quando la pacifica rivoluzione arancione ha conquistato il paese alla democrazia e alle libertà fondamentali. Dimenticare questo retroscena e trattare come una mera disputa economica il confronto in corso sul prezzo del gas russo è, da parte dell’Europa, un atto di ipocrisia e un ennesimo ritorno allo spirito di Monaco.

Morire (di freddo) per Kiev non rientra evidentemente nei piani dei leader europei. Ma se l’Europa, spento il motore federalista, rinunciasse anche alla prospettiva di progressivo allargamento e rafforzamento delle istituzioni della democrazia liberale nel continente, che cosa resterebbe della sua spinta ideale? E che cosa del suo ruolo internazionale?

Nel momento in cui il presidente russo Putin assume la guida del G8, e mentre prepara il summit di luglio a san Pietroburgo, l’Europa ha tutta la possibilità per intervenire con una mediazione efficace che salvaguardi le regole del mercato respingendo il cinico ricatto che ha portato Putin a chiudere il rubinetto ucraino del gas nel cuore dell’inverno. Purchè sia chiaro ai leader europei che non si tratta di procedere a un levantino gioco al ribasso del prezzo ma, come ha subito capito il Dipartimento di stato americano, di impedire “l’uso dell’energia per esercitare una pressione politica”.

Il presidente del consiglio Berlusconi e il ministro degli Esteri Fini facciano come Bush la loro parte per difendere il diritto dell’Ucraina a scegliere fra la libertà e la sudditanza.