
Non è l’ultimo proclama di Nadia Desdemona Lioce, la fondatrice delle nuove Brigate Rosse, dalla sua cella di cinque volte ergastolana. Neppure un nuovo “delirante” messaggio anarchico-insurrezionalista. Tutt’altro. Ma leggiamo queste righe, pubblicate sul Corriere della Sera del 4 luglio: “Ho letto l’articolo di Pietro Ichino sul Corriere del 3 luglio. Sono rimasto da un lato esterrefatto, dall’altro ho invidiato l’autore di un simile capolavoro, per l’eloquenza e la retorica che ha saputo mettere al servizio di un attacco feroce e mirato alla Cgil e al mondo del lavoro; ho ammirato la malizia con cui ha voluto processare una parte del sindacato e importanti settori della maggioranza di governo. Davvero un capolavoro di cattiva informazione, sferrato con la sottigliezza e il cinismo di chi sa sputare sentenze con la facilità di chi non prova rimorsi”. E così via. Firmato Gianni Pagliarini.
Se è vero che le parole sono pietre, queste sono pietre da intifada, scagliate addosso per far male. Chi è Pietro Ichino, l’obiettivo di tanto livore? E’ un professore di diritto del lavoro, un giuslavorista, come si dice, e un riformista. Appartiene a quella rara specie di studiosi che rifiutano gli agi economici e psicologici che offre l’obbedienza alla propria ideologia unita alla deferenza verso gli interessi del padrone (perfino quando il padrone è un sindacato).
Ce ne sono, per fortuna, anche nel nostro paese. Ma di alcuni fra loro resta poco più che la memoria dei familiari e dei giusti e una lapide al cimitero: Enzo Tarantelli, Massimo D’Antona, Marco Biagi.
Non a caso Ichino vive da tempo sotto scorta. E’ probabilmente l’uomo più odiato dagli aspiranti guerriglieri del terrorismo comunista (e speriamo che la loro aspirazione sfumi in una vanesia peregrinazione negli inferni delle fantasie sadiche) ora che la mano è passata alla sinistra. Ieri potevano esserlo indifferentemente Marco Biagi o Maurizio Sacconi, come ha spiegato la terrorista “pentita” Cinzia Banelli. Per giunta Ichino è da sempre iscritto alla Cgil, e per due volte è stato eletto in Parlamento nelle file del vecchio Pci, per cui non sfugge all’accusa di essere un “rinnegato”, un “nemico del popolo”. La polemica da sinistra nei suoi confronti non conosce mezze misure. Alla vigilia dell’ultimo congresso della Cgil, il responsabile giuridico del sindacato, Giovanni Naccari, diffuse una circolare interna che a molti suonò come una “fatwa” nei confronti di Ichino, accusato di essere, coi suoi libri e articoli “parte di una campagna che si pone in netta antitesi soprattutto con le politiche sindacali, contrattuali e con le politiche del diritto, anche prospettiche della nostra organizzazione”, una “insidia -aggiungeva - acutizzata dalla autorevolezza accademica, dalla pacatezza dei toni, dalla ampiezza delle argomentazioni, dalla presunta neutralità della scienza, dall’”aura” tecnocratica degli autori che, con sagacia, evidenziano e modulano fatti e tesi in una dialettica funzionale alle finalità di natura sostanzialmente politica che pregiudizialmente si sono posti. Il tutto contando sulla presunta impreparazione dell’uditorio ad affrontare o sostenere l’impatto di tanta sapiente costruzione".
I contenuti della circolare erano talmente settari e intolleranti che lo stesso segretario confederale Guglielmo Epifani dovette sconfessarla. Ma questo non impedì a Gianni Rinaldini, segretario generale della FIOM di ribadire che le posizioni espresse da Ichino erano “incompatibili” con quelle della Cgil. Tutto questo accadeva soltanto lo scorso febbraio. Quale la colpa del professor Ichino? Semplicemente di ritenere necessarie riforme liberali del mercato del lavoro, di criticare il conservatorismo del sindacato, di essere addirittura convinto che la legge Biagi abbia migliorato le condizioni di vita dei precari. Imperdonabile. Ed ecco che di nuovo ieri leggiamo che Ichino “ha messo la sua retorica e la sua eloquenza al servizio di un attacco feroce e mirato alla Cgil” eccetera.
Ma dunque chi è l’autore di questa incredibile lettera, e soprattutto, perché il Corriere l’ha pubblicata?
Non ci crederete, ma l’autore sta in Parlamento. Non ci crederete, ma l’autore è un Presidente di Commissione parlamentare. Si chiama Gianni Pagliarini, fa parte del Partito dei Comunisti Italiani (quello di Diliberto, per capirsi). È stato segretario nazionale della sindacato Cgil per la Funzione Pubblica, ora presiede la Commissione Lavoro della camera dei Deputati.
Io non so nulla di Gianni Pagliarini, al di là di quello che lui scrive di se stesso sul suo sito (contro la guerra in Iraq, contro la devolution, contro il precariato, eccetera, come si può ben immaginare, e come gli garantisce la felice diversità di opinioni che la democrazia liberale non solo autorizza ma anzi raccomanda). Immagino che sia persona civile, rispettosa delle opinioni altrui, amante del dialogo e delle istituzioni. E’ bene immaginare del prossimo tutto il bene possibile, fino a prova del contrario.
Non so nulla dell’on. Presidente della Comissione Lavoro, dunque. Ma so che dopo aver scritto questa lettera al Corriere della Sera, dove si produce in un’aggressione personale di diretta derivazione stalinista contro il suo avversario, dove per confutare idee che contrastano con le sue ritiene necessario prima di tutto confutare il loro autore, additarlo al pubblico disprezzo, denudarlo della sua dignità; dove usa le parole come come in alcuni paesi si usano le pietre contro le adultere; ecco, io so che l’onorevole Gianni Pagliarini non può restare alla presidenza della Commissione Lavoro, e che se questo accadesse proverei vergogna per il Parlamento e per chi in quella posizione lo mantiene.