29.11.05

Taradash: “America, mercato e individuo sono le fonti di ispirazione dei Riformatori Liberali"

Intervista a Marco Taradash di Attilio Arcuri su www.Diario21.net (29 novembre 2005)

“Noi siamo sempre stati convinti che i Radicali non dovessero esiliarsi dal bipolarismo e che dovessero fare una scelta. Naturalmente speravamo che la facessero con il centro-destra, perché ci sembra che, al momento, il centro-sinistra non offra grandi possibilità di lavoro per smantellare i privilegi e la burocrazia”. E’ quanto afferma Marco Taradash nell’intervista al nostro giornale, alla vigilia della prima Assemblea Nazionale dei Riformatori Liberali, il nuovo soggetto politico nato dopo la decisione di Capezzone, Bonino e Pannella di unirsi allo Sdi di Boselli e confluire nell’Unione.

Lei, insieme con Peppino Calderisi, Carmelo Palma e Benedetto Della Vedova, ha dato vita ai Riformatori Liberali. Quale il progetto di questo nuovo soggetto politico?
“E’ il tentativo di rinnovare la forza di riforma della Casa delle Libertà nel senso delle grandi riforme liberali che erano state promesse ma che solo in parte, in certi casi in piccolissima parte, sono state realizzate. Si tratta dell’economia, della giustizia, delle riforme in materia di diritti civili. Crediamo che sia necessario che Berlusconi non si trovi a dover mediare soltanto fra gruppi e correnti più o meno stataliste, che si legano a difesa di interessi corporativi in un senso o nell’altro. C’è bisogno di una forza liberale che creda nell’economia di mercato e che combatta le situazioni di privilegio. Noi cerchiamo di operare in questo senso”.

E’ la risposta ai Radicali Italiani che hanno scelto l’Unione?
“E’ anche questo. Noi siamo sempre stati convinti che i Radicali non dovessero esiliarsi dal bipolarismo e che dovessero fare una scelta. Naturalmente speravamo che la facessero con il centro-destra perché ci sembra che al momento il centro-sinistra non offra grandi possibilità di lavoro per smantellare i privilegi e burocrazia. Il centro-destra ha molti limiti, però il suo elettorato ha chiesto a Berlusconi meno tasse, meno impacci legislativi, regole essenziali; il centro-sinistra ha sempre combattuto le riforme del centro-destra quando queste andavano nella direzione che a noi pare giusta, ad esempio la legge Biagi, la riforma delle pensioni e certi aspetti della riforma della scuola. Gli aspetti che noi giudichiamo più liberali hanno trovato il centro-sinistra all’opposizione durissima, quindi non sappiamo bene cosa potrà fare Pannella per modificare l’orientamento del centro-sinistra”.

Con la discussione attorno al Concordato, il tema della laicità dello Stato è prepotentemente ritornato in auge. Quale il suo parere?
“La discussione è partita male, perché sollevare la questione del Concordato nel momento in cui la Chiesa si sente forte perché sul referendum sulla fecondazione ha convinto forse la maggior parte degli italiani a non andare a votare e se ne è assunta il merito, perché siamo alla vigilia delle elezioni, per cui tutte le forze politiche non hanno vera forza e vera intenzione di mettere in discussione i privilegi della Chiesa, beh… ci è sembrato che da parte di Boselli porre la questione del Concordato sia stato un grave errore. Detto questo, crediamo che ci sia da una parte una giusta richiesta del mondo cattolico di partecipare attivamente alla vita politica del Paese ma al tempo stesso un certo sfruttamento da parte delle gerarchie ecclesiastiche di questa richiesta a scopi che mi sembrano di conservazione dei privilegi”.

La legge elettorale cosi come riformata dal centro-destra, lei la condivide?
“No, non la condivido anche se mi rendo conto che la legge in vigore andava modificata, perché non ha garantito ciò che gli autori si aspettavano, cioè la governabilità del Paese. Io e tutti gli altri amici che partecipiamo ai Riformatori Liberali abbiamo avversato il Mattarellum però la risposta giusta ci sembra che vada in una direzione opposta, che è quella dell’abolizione della quota proporzionale non quella dell’abolizione della parte uninominale. Si è trovata un’altra soluzione di compromesso, il proporzionale con il premio di maggioranza, temo che non funzionerà, però visto che le leggi elettorali vanno viste sul campo, aspettiamo qualche mese prima di dire la parola definitiva”.

Domani, si svolgerà a Roma la prima Assemblea dei Riformatori Liberali. Al centro dell’iniziativa avete posto lo slogan “America, Mercato e Individuo”. Sono i tre punti fondamentali del vostro programma politico?
“Sono le tre fonti di ispirazione. L’America ha sempre riscattato dalla tirannia i Paesi che via via è stata costretta a difendere, altri dicono ad invadere… ma l’Italia, la Germania e il Giappone sono sfuggiti al nazifascismo grazie all’America. La Russia e tutti i paesi dell’est europeo sono sfuggiti al comunismo grazie all’America. Oggi, ci auguriamo che anche i Paesi che vivono sotto la pressione delle teocrazie o delle dittature islamiche possano, grazie all’America, trovare la strada della democrazia. Mercato, perché crediamo alla concorrenza, crediamo che si debbano abbattere tutte le barriere che impediscono oggi ai più giovani, ai più meritevoli, di entrare nel mondo del lavoro e di trovare soddisfazione per le loro aspirazioni e possibilità. Individuo, perché siamo convinti che la coscienza individuale, unita alla responsabilità, debba dare le risposte ultime sulle questioni etiche che ognuno di noi si trova ad affrontare nel corso della vita, non arrendendosi alle posizioni che lo Stato e la Chiesa, attraverso le leggi o i dogmi vorrebbero imporre come se fossero verità assolute”.

21.11.05

La vera opzione laica siamo noi

Articolo di Marco Taradash per la rivista telematica www.laici.it

I radicali hanno sempre avuto la ventura di essere considerati di destra dalla sinistra e di sinistra dalla destra. Ricordo il mio primo incontro con un massimo dirigente comunista di allora e di oggi. Lo intervistai per la rivista cui collaboravo, poi gli portai il testo per la revisione. Lo soppesò, alzò il sopracciglio, e mi disse: “Strano, è corretta” – “Perché strano?” - “So che sei un radicale, e i radicali sono pagati dal Mossad per fare danno ai comunisti. Non lo dirò mai pubblicamente ma questa è la mia convinzione”.
Erano gli anni Ottanta, e tanta acqua è passata sotto i ponti, a sinistra come a destra. Ma dubito che Buttiglione, ancora oggi, non consideri i radicali, anche quelli che si schiereranno col centrodestra, pericolose quinte colonne della sinistra.
In realtà i radicali, e i liberali in genere, hanno un’idea della frattura destra-sinistra molto poco ideologica. Stare a destra o a sinistra è un’opzione storica e politica, dipende dalla dinamica dei fluidi ideologici: a destra contro il comunismo, a sinistra contro il fascismo e così via.
Oggi però, per fortuna, le scelte sono più complicate. Se fosse vero –come pensava Bobbio- che porre l’accento sulla libertà individuale è di destra mentre avere come priorità l’uguaglianza è di sinistra, la partita sarebbe chiusa: i liberali non sono disposti a transigere sulla libertà, e sono convinti che dalla sua limitazione non nascerà nulla di buono e duraturo.
In realtà le scelte politiche sono meno sofisticate: oggi in Europa dobbiamo scegliere fra Blair e Zapatero (due di “sinistra”) non fra Zapatero e Chirac. E in Italia fra Cdl e Unione, vale a dire fra due coalizioni composite e spesso confuse, e valutarne le conseguenze su tanti diversi piani, sommando i pro e i contro di una scelta e dell’altra.
Personalmente, insieme a Benedetto Della Vedova, Peppino Calderisi, Carmelo Palma e tanti altri che hanno una storia radicale o liberale ho deciso di dar vita ai Riformatori Liberali per creare una opzione laica, liberale, radicale, riformista nel Centrodestra perchè sono convinto che da un governo di Centrosinistra avremmo risposte conservatrici e illiberali su tutte le questioni di fondo.
Prima fra tutte la collocazione internazionale: le tre B tanto vituperate (Bush, Blair e Berlusconi) hanno dato una risposta forte e coraggiosa non solo al terrorismo internazionale ma anche alla vera sfida del XXI secolo. Quella che Natan Sharansky – a proposito, anche lui, una grande personalità liberale tacciata da estremista di destra, come Mario Vargas Llosa in America latina – riassume nel dualismo fra Stati della libertà e Stati della paura. Punire i dittatori, “esportare” la democrazia, lasciar germogliare i diritti civili, la libertà di espressione, di stampa, di religione dove oggi sembra impossibile possano attecchire; questa è l’unica risposta efficace contro il terrorismo. Libertà e sicurezza vanno di pari passo, è illusorio perseguire la seconda senza promuovere la prima.
Prodi, Rutelli, Fassino che ne pensano (e non cito gli altri)? Dipende dai giorni, mi è parso di capire: nei dì di festa, come quello delle elezioni irachene, concordano con Bush, il resto del mese con se stessi e con la conservazione pacifista delle dittature. In economia? La legge Biagi? E’ “macelleria sociale” anche se la disoccupazione si è ridotta a livelli sconosciuti in altre grandi nazioni europee di “mercato sociale” (e il 90% degli occupati in Italia – ho letto - ha il “posto fisso”). Nelle istituzioni? Il premier forte è il loro incubo (e infatti nella scorsa legislatura ne hanno cambiati tre) anche se concordano che nessun governo è possibile in mezzo ai litigi fra le delegazioni di partito. Il federalismo? E’ dissolution se lo vota il centrodestra, anche se la devolution produrrà invece la ricomposizione di uno stato frantumato dalla riforma costituzioale del centrosinistra. La giustizia? Tocchiamo ferro e speriamo di sfuggire ai ferri. La polizia? Si agitano le piazze quando si è all’opposizione, i manganelli quando si governa. La scuola? “Scuola pubblica, scuola pubblica, scuola pubblica” scandisce tra gli applausi il leader unionista più “laico e liberale e socialista”. Scuola libera, buono scuola, diciamo invece noi cui piace la riforma di Tony Blair.
Il centrodestra è la soluzione dei mali del nostro paese? Figuriamoci. Sulla giustizia riforme a metà e tanta roba pro domo; sui licei si completa la controriforma Berlinguer, sull’Università ci si ferma a mezza strada; si cerca di restituire dignità e responsabilità al premier ma si cede sulla proporzionale. Eccetera. Ma, a parte le questioni etiche (ricordo però che, sulla fecondazione assistita, fra il 1996 e il 2001 dovemmo, in pochi, imbastire un’opposizione durissima alla Camera e al Senato contro una maggioranza bipartisan che puntava nella stessa direzione poi presa dal centrodestra) l’accusa che possiamo rivolgere al governo Berlusconi è di essersi spesso dimostrato incerto, lento, indecisionista nell’attuazione del suo programma.
Che però è, in larga misura, un programma liberale, così come i suoi elettori sono, in larga misura, sostenitori di soluzioni liberali. Mi paiono insomma l’antiamericanismo, il giustizialismo, il conservatorismo sociale e istituzionale della sinistra da un lato, le carenze e le incongruenze del centrodestra dall’altro, entrambi buoni motivi per riattivare l’organizzazione di una forza politica di ispirazione liberale e determinazione radicale. E per chiedere a chi ci legge di aiutarci a costruirla, da subito, attraverso gli strumenti che offrono il nostro sito www.riformatoriliberali.org e la prima assemblea nazionale del movimento che si svolgerà a Roma mercoledì 30 novembre dalle 10 alle 18 allo Spazio Etoile, San Lorenzo in Lucina 41. Interverrà Berlusconi. Vi aspettiamo.

«Il Polo rischia di sembrare la cinghia di trasmissione tra il Vaticano e le Camere»

Intervista a Marco Taradash di Livia Michilli, sul "Corriere della Sera" (21 novembre 2005)

ROMA - «Speciale convergenza» e «attiva collaborazione», recitava la nota congiunta dopo la visita di Berlusconi al Papa. «Che c’è di scandaloso?», dice Marco Taradash. Eppure lui, radicale di lungo corso e portavoce dei Riformatori liberali (i compagni di Pannella passati nel centrodestra), di fronte a cotanto feeling avvisa gli alleati: «Sarebbe paradossale che la Cdl desse l’impressione di aspirare a essere la cinghia di trasmissione delle posizioni e della volontà delle gerarchie ecclesiastiche in Parlamento». Teme uno schiacciamento sulla linea papista?
«Ma quale linea papista! Trovatemi un presidente del Consiglio che non si sia proclamato cattolico e alleato del Vaticano, a parte forse Spadolini».
E come la mettete con la proposta di Storace di introdurre volontari antiabortisti nei consultori?
«Mi va bene purché si rispetti la legge 194: se vogliamo offrire un servizio in più alle donne, d’accordo. Ma se è un’invasione nella sfera della libertà individuale, allora diventa fuorilegge e intollerabile».
Berlusconi ha detto che il Concordato non è in discussione .
«Non è un tema all’ordine del giorno e Boselli, tirandolo fuori, fa un regalo al mondo clericale».
Ma lei non lo considerava uno strumento illiberale?
«Se vivessi nell’astrazione anch’io vorrei abolire il Concordato, ma siccome faccio politica dico che parlarne ora peggiora la situazione; dopo il referendum sulla fecondazione lo Stato è in una posizione di debolezza rispetto alla Chiesa».
È d’accordo con chi ritiene gli interventi della Cei un’ingerenza nella vita politica italiana?
«La Chiesa esercita pressioni legittime, ma è difficile stabilire quando diventano ingerenze: lo sono le indicazioni di voto su un referendum. Il problema vero però è la debolezza della politica, che discute del sesso degli angeli invece che dei problemi seri».
Tipo?
« Due punti fondamentali del nostro progetto sono il divorzio veloce e il riconoscimento delle coppie di fatto, soprattutto quelle omosessuali ».
Crede che la Cdl li inserirà nel suo programma?
«Non mi pare siano tutti contrari, vedremo di convincerli».
Convincere Buttiglione e Calderoli sui Pacs per i gay?
«Sappiamo che su certi temi siamo in minoranza, ma non intendiamo rinunciare alla nostra diversità».
Altrimenti ve ne andrete?
«Non è questione di prendere o lasciare. Abbiamo molte ragioni per stare nella Cdl e siamo convinti di interpretare le ragioni di milioni di elettori liberali, cattolici o non. La convivenza è possibile e necessaria».

20.11.05

Sì a scelte laiche, no allo scontro tra guelfi e ghibellini

di Benedetto Della Vedova e Marco Taradash
La politica italiana sembra in questi giorni monopolizzata da uno scontro tra “guelfi” e “ghibellini”. Uno scontro artificialmente alimentato proprio da coloro che da questo scontro traggono il massimo di utilità, i neoguelfi e i neoghibellini; con il terzo, la Chiesa Cattolica italiana, che, assistendo alle gesta dei due litiganti, “gode” di un’attenzione mai ricevuta negli ultimi decenni. In questo scontro tra clericali ed anticlericali non ci riconosciamo e ad esso non partecipiamo perché vediamo forte il rischio che in ogni caso ad avere la peggio siano proprio i cittadini italiani, che non dovrebbero essere trattati da sudditi né della Chiesa né dello Stato.

Noi siamo “laici”. I temi, più noti, della libertà individuale di fronte al condizionamento delle maggioranze e quelli, ancora in buona misura incogniti, della biopolitica, ci preoccupano, ci occupano e ci appassionano: ma proprio per questo riteniamo debbano essere affrontati con animo scevro dal pregiudizio anticlericale.

Noi Riformatori Liberali difendiamo e difenderemo la legge 194, non perché è una Legge “a favore” dell’aborto, ma perché ha regolamentato l’interruzione di gravidanza sconfiggendo la piaga dell’aborto clandestino; proprio nel quadro di un’applicazione letterale della 194 siamo favorevoli all’introduzione generalizzata della RU486, in modo da consentire ai medici a alle donne l’utilizzo della tecnica più appropriata senza incomprensibili divieti del ricorso all’aborto farmacologico.

Consideriamo il via libera al cosiddetto “divorzio breve” nient’altro che una attualizzazione della legislazione introdotta oltre trent’anni fa. Siamo e saremo a favore del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, in primo luogo di quelle omosessuali per le quali oggi non vi è alcuna possibilità di essere riconosciute come tali. Riteniamo urgente aprire la discussione parlamentare in vista di una disciplina dell’eutanasia e del “testamento biologico” che, attraverso garanzie e vincoli, metta fine alla pratica dell’eutanasia clandestina denunciata dall’ex Ministro Veronesi.

Non riteniamo, però, che questi provvedimenti implichino una battaglia a tutto campo “contro” la Chiesa, in cui si riconoscono milioni di italiani di ogni orientamento politico, ivi compresi milioni di cattolici liberali che guardano al centrodestra (e che spesso compiono scelte diverse da quelle indicate dal magistero). La Chiesa opera oggi come una grande agenzia del consenso; una lobby potente, certo, ma che gioca le sue carte in modo aperto e in un dibattito pubblico.

Sta alla politica rivendicare e praticare la propria totale autonomia nelle decisioni legislative e di Governo. Nella storia del dopoguerra la Democrazia Cristiana difese l’autonomia della politica, consentendo che venissero varate leggi (aborto e divorzio per tutte) che incontravano la più totale contrarietà della Chiesa ma contro le quali la DC si limitò a votare in Parlamento, senza erigere alcuna barricata o utilizzare di espedienti che potessero impedire alla maggioranza laica presente nel paese di trovare il suo corrispettivo nelle Camere.

Sarebbe paradossale che oggi la Casa delle Libertà desse invece l’impressione di aspirare ad essere, tout court, la “cinghia di trasmissione” delle posizioni e della volontà delle gerarchie ecclesiastiche nelle aule parlamentari. Se anche fosse vero che la maggioranza gli elettori della CdL si riconoscono in toto nelle posizioni della Chiesa, è certo che una parte consistente del voto al centrodestra e a Silvio Berlusconi esprime una posizione di modernizzazione liberale e laica della società italiana. Rinunciare alla rappresentanza di questi elettori, convinti sostenitori delle politiche di Berlusconi sui temi dell’economia, della giustizia e della politica internazionale, sarebbe suicida dal punto di vista elettorale.

I Riformatori Liberali, a pieno titolo una componente della CdL, intendono costituire, senza settarismi ideologici ma anche senza timidezze, un punto di riferimento politico elettorale per gli elettori laici che vogliono sostenere lo sforzo di modernizzazione liberale della società italiana contro il potere conservatore del centrosinistra, senza rinunciare a vedere rappresentate nella loro espressione di voto anche a quelle idee che contrastassero con alcune posizioni fortemente sostenute dalla Chiesa.

19.11.05

E' una devolution o una dissolution? Dibattito tra riformatori e riformisti

Dal "Riformista" (17 novembre 2005)

Caro direttore. Ci spiace che l'articolo di prima di prima pagina del Riformista di martedì 15 novembre ("Il federalismo fa buchi, figurarsi la devolution) contenga analisi e giudizi così inesatti e grossolani sulla devolution, in linea con la campagna di delegittimazione e di mistificazione dei contenuti della riforma costituzionale della Cdl messa in atto da gran parte del centrosinistra e da molti opinionisti schierati. La devolution che - secondo iI Riformista - è "roba da far tremare le vene ai polsi", assegna alle Regioni, nella sostanza, ciò che esse già oggi hanno in materia di sanità, istruzione e polizia locale. D'altro canto la riforma della Cdl pone rimedio ai guasti causati dalla modifica del titolo V - questa sì una dissolution - approvata dal centrosinistra alla fine della scorsa legislatura. Questo giudizio non è solo nostro ma lo abbiamo riscontrato anche nelle affermazioni di un costituzionalista come Augusto Barbera nella sua intervista al Sole 24 ore del 17 ottobre 2004 (quando la Camera stabilì il testo definitivo della riforma): " ...Il testo della Cdl, anche se è spesso contorto e farraginoso, è attento alle esigenze unitarie e si muove nella prospettiva di un regionalismo forte, adeguato alla realtà italiana. E' paradossale, ma bisogna riconoscere che è toccato a un ministro leghista come Roberto Calderoli rimediare ai pericoli per l'unità nazionale del federalismo sgangherato del Titolo V dell'Ulivo. Di cui, tra l'altro, nel centro-sinistra si fa a gara per disconoscerne la paternità. Con il recupero dell' interesse nazionale, l'introduzione della clausola di supremazia e la riattribuzione alla competenza statale di materie come i trasporti e l'energia si sono salvaguardate le esigenze unitarie. Sostenere che si è fatta la devolution è propagandistico quanto I'accusa che questa spacca il paese. La polizia regionale è solo amministrativa. Le norme generali sull'istruzione e sulla sanità sono di competenza dello Stato...".
Si può legittimamente essere contrari alla riforma della Cdl (come lo è lo stesso Augusto Barbera), ma dal Riformista ci aspetteremmo, come d'abitudine (vedi gli articoli di Ceccanti), un contributo alla discussione più aderente alla realtà e ai contenuti effettivi della riforma. Anche noi abbiamo criticato alcuni punti specifici della riforma della Cdl che sono, in gran parte, quelli che non entrerebbero in vigore subito ma solo dopo il 2011 (compreso lo strabordante potere di veto del Senato, previsto dalla riforma anche grazie al contributo teorico fornito in tal senso dal senatore Bassanini). Ma ci opponiamo con fermezza all'opera di mistificazione e falsificazione dei suoi contenuti che ha impedito di correggere e migliorare il testo della riforma nel corso dell'esame parlamentare e che impedirebbe al paese di "conoscere per deliberare" quando sarà chiamato ad assumere una decisione di enorme importanza nel referendum confermativo: modificare la Carta del 1948 (consentendo eventualmente al prossimo Parlamento di correggere e anticipare alcuni aspetti della riforma che entrerebbero in vigore solo nel 2011) oppure conservarla così com' è (compreso il federalismo sgangherato del titolo V dell'Ulivo") per molti altri lustri ancora, come inevitabilmente accadrebbe con la vittoria dei no, con buona pace delle esigenze di modernizzazione di cui il paese ha bisogno.
Peppino Calderisi e Marco Taradash


Cari Calderisi e Taradash, è difficile identificare I'opposizione del Riformista alla devolution con la propaganda secondo la quale essa è troppo ampia in senso quantitativo. Badate bene: come voi stessi spiegate nella lettera, questa propaganda la fa anche la Lega, per vantarsi che è andata oltre la riforma del Titolo V e non solo il centrosinistra, per lamentarsene con toni apocalittici. Su questo siamo d'accordo, e non da oggi. Ciò però non significa che il testo risolva i problemi lasciati aperti dal Titolo V né che migliori la situazione: questo è il nostro dissenso altrettanto franco.
Vediamo infatti nel testo una pericolosa incertezza sul cosiddetto federalismo : alcune parti fanno delle affermazioni su scuola e sanità mentre altre affermano cose diverse sulle medesime materie; e Ia sede di cooperazione prevista per risolvere questo intrico, che dovrebbe essere il Senato, invece che funzionare da raccordo tra centro e periferia è disegnato per ostacolare la governabilità nazionale; infine non c'è nessun rapporto tra competenze enunciate e federalismo fiscale, con il rischio che gli effetti perversi segnalati dalla recente sentenza della Consulta sui conti pubblici possano essere decuplicati. Nel migliore dei casi, la riforma è dunque un'occasione sprecata che rinvia i problemi; nel peggiore è un ulteriore aggravamento di contraddizioni e ambiguità su un terreno già segnato dai problemi aperti dalla riforma frettolosamente varata nella legislatura del centrosinistra.
In entrambi i casi va perciò bocciato. Certo, sempre usando gli argomenti di merito e non quelli propagandistici; certo non concedendo nulla ai conservatori, ai sacralizzatori fuori tempo della Costituzione del '48, a chi vede in ogni tentativo di riforma della Costituzione un mito pernicioso. Ma certamente senza nascondersi la realtà. E la realtà è che mentre la Germania, paese federalista per eccellenza, fa passi indietro per correggere i rischi di paralisi del sistema legislativo e di anarchia
della spesa pubblica, noi stiamo facendo un passo avanti verso la ingovernabilità di un paese già di difficile governabilità e di spesa pubblica allegra. Questi stessi argomenti dovranno essere ripresi nella prossima legislatura, per dimostrare che un'altra riforma è possibile. Il Riformista sl augura che maggioranza e opposizione siano finalmente capaci di .farlo insieme questo lavoro, dopo le forzature di questa legislatura, in cui i cambiamenti della Costituzione sono stati usati come un patchwork per soddisfare questa o quell'altra componente della maggioranza, e non in un quadro di riforma organica della forma di stato e della forma di governo.
Se questo avverrà, cari Calderisi e Taradash, ci sarà bisogno anche della vostra
competenza. Con voi abbiamo in comune molte cose, a cominciare dalla tendenza a non intrupparci in logiche rigide di schieramento. Se si riuscirà ad evitare la rigida riproposizione della divisione tra maggioranza e opposizione sul terreno delle regole, potrà essere possibile rítrovarsi almeno sull'esigenza di modernizzare il paese. Dopo aver bocciato nel referendum questa riforma sbagliata.
Antonio Polito

13.11.05

Assemblea Nazionale dei Riformatori Liberali

AMERICA MERCATO INDIVIDUO
Assemblea nazionale dei Riformatori Liberali

Roma - 30 novembre 2005, ore 10-18
Spazio Etoile, P.za San Lorenzo in Lucina
concluderà i lavori: SILVIO BERLUSCONI
(comunica la tua partecipazione a info@riformatoriliberali.org)

Le Guardie Bianche di Storace

La legge 194 che regola l’interruzione della gravidanza stabilisce il diritto della donna a richiedere al medico di fiducia o a quello della struttura sanitaria o consultorio il certificato necessario per ottenere dalla struttura pubblica l’aborto. Il medico può rinviare di sette giorni la decisione, ma se la donna rinnova la richiesta è tenuto a consentire l’aborto. E’ la donna che sceglie se rivolgersi o no al consultorio.
Così nell’articolo 5 della legge: “Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l'esistenza di condizioni tali da rendere urgente l'intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l'urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza. Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell'incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all'articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l'avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna puo’ presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate”.
Che senso ha allora l’uscita del ministro Storace che ha così reagito alla sperimentazione e all’uso della pillola abortiva RU 486: “Vorrà dire che ci metteremo (nei consultori ndr) i volontari del Movimento per la vita. Stiamo lavorando, siamo un pezzo avanti nella discussione, è un’idea sempre più consolidata”?
Se è una minaccia è destinata a cadere nel nulla, visto che nessuno obbliga la donna a transitare dal consultorio, e comunque in nessun caso può essere obbligata a parlare con psicologi, assistenti sociali o volontari. Se invece Storace ha colto l’occasione di una polemica molto mediatica per creare le sue “guardie bianche” affidando, “a prescindere”, il potenziamento dei consultori al Movimento per la vita, la sua scelta va giudicata per quello che è: una scelta politica, discutibile, discutibilissima, ma legittima.
Come legittima è la sperimentazione della RU 486. Basta leggere l’art. 15 della legge: “Le regioni, d'intesa con le universita’ e con gli enti ospedalieri, promuovono l'aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull'uso delle tecniche piu’ moderne, piu’ rispettose dell'integrita’ fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza”.
Qualcuno dubita davvero che la RU 486 non sia una tecnica più moderna, più rispettosa dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiosa, ad esempio, del raschiamento, che pure continua a venire praticato in percentuali altissime nelle regioni meridionali? Se ne dubita lo dica e lo spieghi, ma attenendosi alla legge: contestandone l’efficacia e la sicurezza. Non in nome di ragioni etiche o ideologiche (tipo “la RU 486 è un incentivo all’aborto”) che appartengono alla sfera del legiferare, non dell’applicare la legge.

Segnalazioni - "Tutti a scuola da Tony?" (da Notizie Radicali)

Tutti a scuola da Tony?

di Alessandro Tapparini

“Se si vuole davvero dare alla crescita un'impronta basata sull'innovazione e sulla ricerca allora bisogna aver chiaro che il tema principale è costituito dalla scuola. Parafrasando un famoso slogan, adottato da Tony Blair, potremo dare una semplice indicazione per il programma in corso di elaborazione da parte del centrosinistra: prima priorità, la scuola pubblica; seconda priorità, la scuola pubblica; terza priorità, la scuola pubblica”.
Così Enrico Borselli, intervenendo a Riccione al Congresso di Radicali Italiani, citava la risposta che nel 1997, entrando a Downing Street, Tony Blair diede ad un giornalista che gli chiedeva quali sarebbero state le prime tre priorità del suo nascente governo.
Ma cosa intendeva Boselli in concreto, al di là della generica richiesta di aumento di stanziamenti a favore della scuola statale (e ad un accenno alla questione degli insegnanti di religione, che però è riconducibile al filone “Zapatero” più che a quello “Blair”)?

Sarebbe bene fugare sin d’ora gli spiacevoli equivoci che su questo delicatissimo terreno possono crearsi. Perché il blairismo in materia di pubblica istruzione è roba pesante, anzi pesantissima: sarebbe bene capire se chi lo evoca fa sul serio oppure si concede parole in libertà (..ed è allarmante che un vigoroso plauso a Boselli sia subito giunto dalla colonne dell’organo di Rifondazione Comunista).

In effetti, una delle più importanti e coraggiose imprese realizzate da Tony Blair – affrontando a muso duro la strenua opposizione dei sindacati degli insegnanti – è stata la riforma della pubblica istruzione; ma in quel caso l’aumento dei finanziamenti è stato solo un aspetto della questione, ed è avvenuto in base ad una logica decisamente peculiare, basata su due pilastri.
Il primo pilastro è la radicale rivoluzione meritocratica che pretende qualità da parte di ciascun insegnante, differenziando i salari dei docenti in base ai risultati raggiunti (“Performance Related Pay”) verificati annualmente con un severo sistema di monitoraggio capillare «a tappeto» (anche tramite appositi test di valutazione che erano stati introdotti dalla Thatcher). Un insegnante che risulti molto bravo, guadagna così molto di più di quanto potesse sperare in passato; ma in caso di esito “irrimediabilmente” negativo dei controlli, si può dar corso al licenziamento del singolo insegnante o addirittura alla chiusura dell’intero istituto. Insomma, una vera e propria “tolleranza zero” contro le inefficienze del personale docente.

Il secondo “pilastro” è quello della “privatizzazione”. Blair è uno che ha capito che la “pubblica istruzione” non avrà mai qualità se la scuola statale non viene “messa sotto pressione” dalla sfida della competizione con i privati. Il potenziamento del settore privato venne definito «lo strumento migliore per pilotare il cambiamento e l'innovazione» da Michael Barber, consigliere del governo per le politiche all'educazione.
Nel 2001 il governo Blair ha presentato un “rapporto” intitolato “Schools - Building on Success” in cui si è illustrato il progetto di una scuola che si adatti alle caratteristiche del singolo studente, anche in base alle richieste che il mercato del lavoro esprime nei confronti dei nuovi diplomati.
In questo senso, la politica attuata da Blair – il quale, per inciso, ha mandato tutti i suoi tre figli a studiare in scuole private cattoliche – guarda anche al ruolo competitivo delle scuole private tout-court, ma non solo: investe anche sul mecenatismo dei privati verso qualunque scuola, anche statale. Si pensi alla sponsorizzazione degli istituti «specializzati», altra innovazione introdotta dal governo Blair nel 1999. In pratica, una scuola superiore (per i ragazzi di 11-18 anni) che in aggiunta al Programma nazionale insegni anche una disciplina particolare aggiuntiva (arte, scienza, lingue, economia) riceverà crediti governativi supplementari, purché per farlo reperisca 50.000 sterline (71.000 euro) da fonti esterne, cioè da finanziatori privati. Nel 2003 il giornalista del Financial Times Tobias Jones in un articolo pubblicato in Italia dalla rivista “Diario” spiegava che grazie a Blair “l’ideale dell’Old Labour di istruzione universale è morto e sepolto. L’uguaglianza si siede dietro l’«opportunità». Perciò, la sfiducia del Labour nel «privato» e l’amore per il pubblico, secondo i critici da sinistra di Blair, vengono rovesciati. Ospedali e scuole possono benissimo diventare joint venture «pubblico-private», decentralizzate e indipendenti dal governo centrale. È la devoluzione, la privatizzazione parziale, dei servizi pubblici”.
Attenzione: quello del 1999 non è stato un intervento isolato ma, al contrario, l’inizio di un lungo processo che Blair sta tutt’ora portando a compimento. Il 25 ottobre il ministro dell'istruzione Ruth Kelly ha presentato alla Camera dei Comuni un “Libro bianco sulla scuola” in cui si propone di introdurre forme di autogestione delle scuole da parte di un “consiglio di genitori”, che sia libero di chiedere finanziamenti a qualunque privato disposto a "sponsorizzarli", anche influenzando i contenuti dei programmi scolastici. Due giorni prima con un lungo ed appassionato discorso alla nazione lo stesso Blair aveva spiegato il suo progetto di un sistema “opened up to real parent power”, aperto ad un potere effettivamente nelle mani dei genitori: nel senso che, fermi restando tutti i controlli governativi sulla qualità e sull’efficienza, ogni singola scuola dovrà rendere conto delle proprie scelte didattiche non al governo nazionale o locale, bensì direttamente alle famiglie degli alunni, in modo da creare un vero e proprio mercato dell’istruzione, con la scelta nelle mani dei “consumatori” finali.

Allora: io non dubito che i radicali siano prontissimi ad inerpicarsi su sentieri così scoscesi.
Ricordo che nel Manifesto pro-global di qualche anno fa si affermava: “occorre superare in ogni settore, dalla sanità alla scuola alla ricerca scientifica, le incrostazioni monopolistiche, e favorire quella competizione tra “pubblico” e “privato” che offre più scelte, più opportunità, più servizi per ciascun cittadino”.
E ricordo che Emma Bonino ad una convention radicale nel marzo dell’anno scorso aveva elogiato la scelta del Governo Blair sui servizi pubblici, cioè “quella di rendere il consumatore «re», di offrirgli la possibilità e la responsabilità della scelta. Anche nella scuola e nella sanità”.

Nutro invece seri dubbi che la capacità e la volontà di infilarsi in questa porta stretta alberghi anche tra i compagni di strada socialisti (…“di tutti i partiti”, come diceva Hayek).
Per non parlare, a proposito di programma in corso di elaborazione da parte del centrosinistra, dell’ipotesi di un eventuale Governo Prodi prossimo venturo in grado di sfidare i “movimenti” organizzati degli insegnanti su questo terreno, che mi appare come un vero e proprio esercizio di fantascienza speculativa. Sarei ben lieto di essere smentito dai fatti, ovviamente.

Ma non è tutto. La rivoluzione scolastica blairiana non si limita alla questione del rapporto pubblico-privato: viola anche un altro tabù della tradizionale concezione socialista, ossia l’egualitarismo. Una ulteriore riforma dell’anno scorso prevede infatti che gli alunni vengano distribuiti nelle classi non più solo in base all’età, ma anche in base alle capacità di apprendimento dimostrate. Alle classi di coetanei si sostituiranno così le classi di “altrettanto bravi”. E l’esame finale per il diploma (quello che in Italia molti chiamano ancora “esame di maturità”) sarà aperto a tutti gli studenti tra i 14 e i 19 anni.
A suo tempo Daniele Capezzone sul forum di radicali.it si espresse a favore di un siffatto sistema di istruzione, che “crea una dinamica in cui ciascuno sa che avrà quel che saprà conquistarsi” e che “incentiva tutti all'unica "gara" che davvero conta nella vita, e cioè quella con se stessi, per migliorarsi, progredire, crescere...”. Fece benissimo, a mio modesto avviso. Non mi risulta però che su questo fronte si sia mai registrato un cenno di assenso da parte dei socialisti (“di tutti i partiti”, come sopra); posto che una analoga anche se meno drastica innovazione è presente anche nella tanto vituperata “Riforma Moratti”, che istituisce i “gruppi di livello”, all’interno di classi che possono ospitare bambini di 20 mesi di differenza.

Ecco: non so se Enrico Boselli avesse in mente tutte queste cose, quando evocava Tony Blair a proposito di porre come priorità l’intervento sulla pubblica istruzione.
Forse il suo riferimento si limitava all’aumento dei finanziamenti; ma anche sotto questo profilo sarebbe opportuno ricordargli, a scanso di equivoci, che l’anno scorso per reperire i fondi per finanziare la scuola e la sanità il new labour ha fatto ricorso al taglio di ben 80.000 posti di lavoro “inessenziali” nel pubblico impiego, con, un risparmio annuale fino a 22 miliardi di euro, oltre l'1.5% del PIL inglese. Nell’ambito di quei tagli, sono state chiuse anche numerose scuole medie scadenti, ritenendo che scuole scadenti sono un danno e non una risorsa, e lo sono per i figli degli operai assai più che per i figli dei signori.
http://www.radicali.it/newsletter/index.php?numero=1670

11.11.05

Grande coalizione o grande demoralizzazione?

La grande coalizione è per definizione un governo adatto a una situazione di emergenza. Può risultare necessaria ma non può durare a lungo visto che è difficile pensare a un sistema democratico privo di una opposizione effettiva. Può darsi che l’Italia si trovi in futuro a fare i conti con questa eventualità, certo, ma indicare la grande coalizione come panacea dei mali politici nazionali ha poco costrutto. Ce lo insegnano le storie antiche e recenti non solo dell’Italia ma anche della Germania o di Israele.
La grande coalizione può essere, e ovunque è stata, un rimedio transitorio, una breve o lunga sospensione del normale respiro istituzionale, in vista di qualcos’altro. Questo è punto: chi oggi ipotizza la grande coalizione dovrebbe anche fornire qualche indizio su come andrà a finire. Si torna alla proporzionale pura, si va al vero maggioritario, si rifonda la Dc dei due forni o cos’altro?
Se non viene indicata alcuna prospettiva il grande dibattito sulla grande coalizione non avrà altro esito che una ulteriore demoralizzazione delle forze e degli elettori potenziali del Centrodestra. Perché una cosa è certa: se mai Berlusconi vincerà le prossime elezioni, a sinistra cadrà immediatamente la saracinesca su qualsiasi ipotesi di accordo. Mentre la condizione e premessa della grande coalizione è una sola: la vittoria di Prodi e del Centrosinistra.

6.11.05

Il calcio che amiamo

E' il calcio in culo al regime di Ahmadinejad:

Protests erupt after soccer match in Iran capital Sun. 6 Nov 2005
Iran Focus

Tehran, Iran, Nov. 06 – Protests erupted in the Iranian capital on Saturday following a football match between two of the country’s first-class teams.

The match between Persepolis and Esteghlal football teams was held at Tehran’s Azadi Stadium.

Youths attacked several city buses as they chanted anti-government slogans. A number of buses had their windows smashed, as demonstrators hurled stones and sticks.

Traffic was held up as protestors barricaded roads leading to and from the stadium.

Chirachiana

“Gli stivali nazisti sono di nuovo in marcia, ma stavolta vestono nei caffetani e si nascondono dietro le loro barbe”
(Theo Van Gogh 1956-2004)

5.11.05

Riforma Moratti – “Sciagurata, indecente , inaccettabile”. Anzi no

«È una riforma sciagurata, indecente e assolutamente inaccettabile». E’ il 28 settembre scorso. Il rettore della Statale di Milano, Enrico Decleva, vicepresidente della Conferenza dei rettori, parla a Repubblica della riforma Moratti sulla docenza universitaria. E’ passato poco più di un mese. Nel frattempo una marea ululante di studenti, trasformati in carne da corteo dai magnifici rettori delle Università italiane, ha simulato il ’68 davanti ai palazzi del potere romano, ha spernacchiato e si è fatta spernacchiare. Respinta, è riparata in attesa di ordini, malconcia, ma abbeverata da un vicepresidente buonista e di sinistra, nelle trincee scavate a guardia del potere universitario. Il vice capo dei rettori, Decleva appunto, però ha cambiato idea. Ieri al Corriere della Sera dichiara che ”A una lettura attenta, la riforma non meritava tanta agitazione. Che le si imputino chissà quali nequizie mi pare una forzatura, piuttosto si può parlare di riforma mancata, di delusione”. Ah, vedi un po’.
Fatevi un giro su google: troverete un urlo lungo centinaia di pagine contro la precarizzazione dei docenti, la mercificazione della scuola, lo smantellamento dell’università pubblica coi diesse, mica i comunisti, che denunciano in aula il “disegno di legge lobbistico” e l’ennesima “buffonata” del governo per poi appellarsi come di routine antiparlamentare al capo dello Stato perché non firmi il provvedimento.
All’improvviso però da Milano arriva il contrordine compagni. “Tanto rumore per nulla ?” chiede il Corriere della sera a Decleva. Imperturbabile il rettore risponde: “Prenda il caso dei ricercatori con contratto a tempo determinato: se a un ateneo non piace, semplicemente non lo fa, mica è obbligatorio. Possiamo tranquillamente assumerli a tempo indeterminato per altri otto anni: davanti alle difficoltà si è rimandato al 2013, e chi vivrà vedrà. Questa non è una riforma, è un provvedimento ponte”.
Capito? Fase uno, detta della presa del potere (fallita, come al solito): assalto all’arma bianca contro la riforma, usando giovani studenti che, dismessi i panni del kamikaze indossati nelle recenti manifestazioni pacifiste, fanno harakiri rispetto ai loro veri diritti e ai loro verificabili meriti; eccoli all’attacco, in nome e per conto degli intoccabili baroni universitari che li buttano avanti dopo averli ubriacati d’ideologia.
Fase due, detta dell’egemonia culturale (di solito funziona): persa la battaglia politica ci si appresta a vincere la guerra ideologica sfruttando la tiepidezza e l’insicurezza della maggioranza. E così, da un lato si annuncia il boicottaggio di quanto è stato deciso dal parlamento: in nome dell’ autonomia i ricercatori diventeranno todos caballeros, non vi sarà nessuna selezione di merito, e sulle bacheche, in luogo delle discipline e dei corsi, verranno appesi enormi manifesti con su scritto “vitalizio, vitalizio”; dall’altro i membri del circolo dei Baroni ora vanno cogliere fior da fiore le critiche di chi aveva analizzato la riforma con occhiali liberali e liberisti e aveva sollecitato il governo a rafforzare quegli elementi di concorrenza, meritocrazia e differenza salariale che sono necessari per rinnovare l’insegnamento e far funzionare meglio l’Università italiana. Furbini no?
Alla fine dell’intervista Decleva ci spiega fra le righe cosa farebbe il governo Prodi. Di che cosa ha bisogno l’Università? Di regole condivise! E di cos’altro? Di andare oltre l’interpretazione rissosa del bipolarismo che sarà la sua fine.
Capito? Prima creano la rissa, su questo come su tutto, e poi ci spiegano che serve l’ordine nuovo. Ma noi lo conosciamo già quell’ordine. Si chiamava, e si chiama, ammucchiata, e camera delle corporazioni, e produttività che annaspa, e qualità che declina. E debito pubblico a riempir la fossa per i giovani di domani.