30.5.07

Corriere delle mie brame, e brame del mio Corriere.


per L'Occidentale
Ok, avevano scherzato. Oggi Il Corriere della Sera affida il suo editoriale a Piero Ostellino, che ci dice in prima pagina quello che, solo e pensoso, in dignitosa controtendenza, scriveva da anni nei deserti campi della pagina delle opinioni: che il bipolarismo in Italia c’è, mancano spesso le idee, più spesso il coraggio, ma insomma la democrazia è quello che è e contano i numeri: “Il successo del centrodestra e la sconfitta del centrosinistra ripristinano il principio dell’alternanza che presiede anche a un bipolarismo come il nostro”. E chi mai avesse voluto interpretare l’intervista di D’Alema al Corriere o il discorso di Montezemolo alla Confindustria come frutto di un disegno politico “dei media”? Macché, si diverte Ostellino, “attribuiva loro poteri e disegni di natura politica che non potrebbero coltivare, e tanto meno manifestare, anche se lo volessero, senza cadere nel ridicolo”. Ma chi dirige il Corriere, Talleyrand? Beh, non so, ma questo è un gran modo di cadere in piedi. Compliments.

Corriere delle mie brame… e brame del mio Corriere. E’ la storia del più grande giornale italiano. Da un lato scalate misteriose per impadronirsi della testata, dalla P2 (un successone) ai furbetti del quartierino (‘na catastrofe). Anomalia tutta italiana, che fa il paio con la proprietà attuale del Corriere, suddivisa in lotti fra i maggiori potentati economici. Dall’altra il giornale che cerca di influenzare il corso della politica. E questo è normale, no? Non proprio. Nei paesi dove la stampa è un potere indipendente, i giornali scendono sì in campo, specie al momento delle elezioni, a sostegno di una parte o di un programma politico. Ma il Corriere fa di più: non si limita a favorire un attore a detrimento dell’altro, ambisce al ruolo di regista, promuove a protagonisti quelle che sarebbero soltanto comparse, si inventa tessiture politiche altrimenti evanescenti. Non è uno specchio, ma un proiettore. Come la Repubblica forse? No, tutt’altro. La Repubblica è uno specchio deformante, che rende mostruosi gli avversari e belli e buoni gli amici, ma la sua scelta di campo è esplicita. E’ un giocatore falloso, ma indossa i colori di una squadra. Il Corriere invece ambisce alla propria indipendenza, la rivendica in testi immortali come, appunto, la “dichiarazione di indipendenza” siglata fra la proprietà e la redazione nel 1973 e sempre riconfermata (anche nell’epoca della P2), fa di questa il segno della propria differenza. E quando decide di scendere in campo indossa i colori di una squadra anglosassone. Vedi l’editoriale con cui Paolo Mieli annunciò il sostegno del giornale alla lista dell’Unione alla vigilia delle ultime elezioni politiche: il direttore volle precisare che la sua scelta non avrebbe in alcun modo influenzato la libertà di esprimere opinioni diverse nei commenti, nei fondi e negli editoriali del Corriere. Impostazione che suscitò la protesta del comitato di redazione, che la giudicò “suggestiva” (traduzione ancora in corso, ndr): “E’ invece tradizione acclarata di tutti gli importanti organi di informazione delle grandi democrazie occidentali, da Le Monde al New York Times al Washington Post, che la linea del direttore si esprima e venga portata avanti con coerenza e continuità negli editoriali, ferma restando la massima apertura di opinioni e interventi”. Primo caso al mondo di un organo sindacale giornalistico che rimprovera al direttore di lasciare troppa libertà di espressione.

In realtà il Corriere aveva già fatto questa scelta, senza gran proclami, nel 1996 (direttore sempre Paolo Mieli) e aveva in precedenza contribuito alla caduta del primo governo Berlusconi facendosi latore (cioè, in linguaggio giornalistico, realizzando un brillante scoop) di una comunicazione giudiziaria per tangenti alla guardia di finanza emessa dalla procura di Milano il 21 novembre 1994 (per inciso, alla fine Berlusconi ne sarà assolto) nel bel mezzo della Conferenza internazionale sul crimine organizzato che Berlusconi presiedeva a Napoli. Direttore anche allora Paolo Mieli.
Scottato dai precedenti il Corriere ha cercato stavolta di sostenere Prodi anche dopo le elezioni. Prima si è inventato l’ottima ma velleitaria agenda Giavazzi, dando quotidiana voce all’ala riformista dei Ds e all’eterogeneo gruppo dei “volenterosi”, poi ha favorito l’emigrazione di Marco Follini dall’Udc, poi ha pompato all’inverosimile l’alternativo (a Berlusconi) Casini. Fino al commento post elezioni amministrative del vicedirettore Pigi Battista che dà di nuovo la linea: basta con la sinistra che fa la sinistra, tutti stretti intorno a Padoa Schioppa, subito un leader vero per il Partito Democratico.
E però ormai lo sanno a via Solferino che tutto questo non basta. E infatti il Corriere è impegnato da un po’ alla costruzione della Terza Repubblica. Qualcuno potrebbe vederci qualche analogia colla vicenda del gran burattinaio che si impadronì del Corriere alla fine degli anni Settanta e che ne fece un potentissimo strumento di influenza politica. Certo, anche allora il Corriere cercò di tessere in prima persona la trama politica del paese. Ma l’analogia finisce qui. Il “Piano di Rinascita democratica” di Licio Gelli era soltanto una copertura di facciata per realizzare imprese molto più losche e mediocri nel campo degli affari e del potere. In realtà la P2 si guardò bene dal mettere in discussione gli equilibri politici dell’epoca: sostenne con fervore il compromesso storico di Berlinguer e Aldo Moro, la linea della fermezza di Pci e Dc contro le Br, foraggiò senza limiti i debiti di Dc, Pci e Psi e dei loro quotidiani di partito, si ramificò in ogni ambiente garantendo il potere a chi ce l’aveva e promettendolo a chi vi aspirava.

Oggi il disegno è tutt’altro. Il paragone giusto è con la prima direzione Mieli. Allora, nel 1994, Mieli aveva puntato molto sull’ingenuità di Occhetto; ora conta, con riserva, sulla spregiudicatezza di D’Alema. All’epoca del crollo della prima repubblica aveva tenuto bordone ai magistrati di Mani Pulite; ora si impegna nel fai da te, coalizzando intorno a un bel libro di due firme prestigiose del Corriere (Stella e Rizzo) le forze che intendono demolire la Casta. Monti, Montezemolo e Montesquieu (quello dei limiti al potere politico) sono le tre emme intorno alle quali si sviluppa oggi il progetto che la quarta tenacemente persegue: la bella politica, immune dai vizi dellla corruzione, dello spreco e dell’arricchimento personale. Come dargli torto? Ma ora come allora l’idea di fondo è la stessa, ed è sbagliata: arrivare a un bipolarismo di stampo europeo, (e quindi) senza Berlusconi. La storia politica della seconda repubblica si è retta però intorno all’assioma contrario: o Berlusconi o niente bipolarismo. Vista la qualità dei progetti in circolazione e la caratura dei potenziali leader è facile prevedere del resto che ancora a lungo Berlusconi potrà dire tranquillamente: “le bipolarisme, c’est moi”. E così ancora una volta il Corriere fallirà nel suo tentativo di supplenza. E magari, chi lo sa, si renderà conto che vestire di panni anglosassoni i consueti intrecci fra stampa, denaro e potere, e dar vita artificiale alle proprie chimere politiche, non è il modo più saggio per rovesciare il sistema delle caste.

21.5.07

Chiamatemi Veltronì



per l'Opinione di domani
Veltroni vorrebbe Letta in un governo di sinistra per le ragioni opposte a quelle per cui Sarkozy ha scelto Kouchner : perché è uno dei campioni del Centrodestra, perché la pensa in tutto e per tutto come Berlusconi, perché è un suo alias. Veltroni vuole un governo smussato, per avere un’opposizione smussata. E questo non è Sarkozy. E’ Berlinguer.

Veltroni l’americano, il kennediano, l’hollywoodiano, ha scoperto la Francia. Lestissimo, il giorno dopo la vittoria di Sarkozy ci ha fatto sapere che l’uomo nuovo, quello della rottura degli schemi tradizionali, in Italia è lui. Veltroni ha cominciato a surfare sull’onda francese approfittando di una fortunata coincidenza, tanto provvida da sembrare ai maligni (come me) costruita a tavolino. Il martedì dopo le elezioni francesi è infatti apparsa sulla prima pagina di Repubblica un’accorata lettera di un elettore di sinistra, tanto insofferente della maleducazione e della delinquenza diffusa tra gli immigrati da temere di essere vittima di una patologica mutazione in uomo di destra. Uno che “guardo Ballarò e Matrix”, uno che “sono stato candidato municipale per la lista Veltroni per Roma”, uno che “insegno alle mie figlie i valori della tolleranza e della non-violenza”, uno che “a 49 anni sto diventando un grandissimo razzista e non lo sopporto”. Niente paura! risponde il giorno dopo il sindaco di Roma, sempre sulla prima di Repubblica: “Invocare la legalità non è politicamente scorretto”. E spiega che “la sicurezza non è di destra né di sinistra” e quindi “per chi minaccia il diritto alla sicurezza e alla legalità dei cittadini, per chi ruba alla società quel bene prezioso che è la serenità, c’è solo una risposta ed è la severità e la fermezza con cui pretendere che rispetti la legge e paghi il giusto prezzo”. Bravò!
Dopo di che Veltroni si è messo al lavoro per convincere il ministro dell’Interno Amato a varare un piano straordinario anti-crimine per le grandi città. Amato, a dir la verità non aspettava l’ora, ma purtroppo a sollecitarlo in questa direzione c’era stato finora soltanto il sindaco di Milano. Cosa assai “politicamente scorretta”. Come ricorderete Letizia Moratti il 26 marzo scorso ha organizzato, presente Silvio Berlusconi, una manifestazione pubblica contro la delinquenza. Il centrosinistra aveva reagito furibondo, a cominciare da Romano Prodi che a Matrix, appunto, aveva replicato seccamente: “Con Milano ci vuole un grande rapporto… Vuol dire che cercheremo di averlo con la Regione e la Provincia”. Per non parlare dei Ds milanesi, che avevano liquidato la manifestazione con una sentenza sommaria: “Letizia Moratti ha distrutto in un solo giorno la sua immagine di Sindaco di tutti i milanesi per portare una modesta manifestazione di commercianti e attivisti di partito ad ascoltare il comizio del Presidente di Forza Italia”. E l’Unità di rincalzo, a titolare il suo commento “Moratti divide Milano” e far dire a Dario Fo che il vero problema di Milano è la Moratti, non la sicurezza: “Perché non dichiara guerra allo smog?”.
Poi Sarkozy straccia la sinistra francese e tutto cambia: la sicurezza non è né di destra né di sinistra - ma se proprio vogliamo dirla tutta è di sinistra. Da Cofferati a Chiamparino a Veltroni a Penati ecco che da ogni parte dell’Italia rossa e turrita spuntano i nuovi Rudy Giuliani.
Il secondo passo verso la definitiva incoronazione quale omologo di Sarkozy (e tant pis per il bayrouiano Rutelli) Veltroni l’ha fatto venerdì scorso. Il giorno prima Sarkozy aveva varato il suo governo e nominato ministro della difesa Bernard Kouchner, fondatore di Medici senza Frontiere ed esponente di primo piano del Partito Socialista. Dal quale il segretario Hollande l’ha prontamente espulso. Veltroni no. Al contrario, parlando a un convegno su Ricerca e Sviluppo, ha fatto sapere al mondo di aver cercato e anche trovato: “Mi auguro di vivere in un paese in cui il bipolarismo sia fatto in modo di permettere a persone di rilievo di far parte del governo a prescindere dagli schieramenti”. E ha fatto il nome di chi vorrebbe che di un “governo siffatto” faccia parte: Gianni Letta.
E qui, diciamocelo francamente, casca l’asino. Perché Letta è un eccellente personalità politica, un preziosissimo mediatore, un infaticabile tessitore, ma è l’esatto contrario di ciò che rappresenta Kouchner per Sarkozy. Kouchner è stato scelto perché, pur militando nel partito avverso, condivide la politica del nuovo Presidente francese sui diritti umani, sul ruolo degli Usa, su Israele. E’ socialista ma la pensa come Sarkozy. Veltroni vorrebbe Letta per le ragioni opposte: perché è uno dei campioni del Centrodestra, perché la pensa in tutto e per tutto come Berlusconi, perché è un suo alias. Veltroni vuole un governo smussato, per avere un’opposizione smussata. E questo non è Sarkozy. E’ Berlinguer, semmai, è il compromesso storico, è il consociativismo, è l’ammucchiata, è la solita storia del bipartitismo imperfetto Dc-Pci, è l’ennesimo b-movie sul gattopardismo nazionale. Prossimamente a Cinecittà.

11minuti 21-5. Il meglio e il peggio dei giornali di oggi.


11minuti
Superbanca: commenti positivi sui giornali, ma la Stampa preferiva la sposa francese. Affare centrosinistro? Profumo non ha bisogno di taxi, dice il Giornale. Tesoretto preelettorale. Rifondazione non ci sta. Ma gli statali avranno quel che vogliono. L'indulto produce crimine. La politica non produce. Veltroni mima Sarkozy (ma torna a Berlinguer). Melandri contro Fassino. Luzzatto: sbagliai su Ariel Toaff.

17.5.07

11minuti 17-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti
Festa di compleanno del governo Prodi. Gli fanno la festa Tps, Ds e Margherita sulla Rai, Rifondazione e i comunisti su Bush, la Chiesa sui Dico, Mastella sul conflitto d'interessi. Tasse: più salate e più complicate. Dai Verdi favoreggiamento esterno all'ecomafia. Per Repubblica Israele bombarda Hamas. Tremonti o Brambilla, Letta o Brunetta? Sarkozy l'americano seduce Barbara Spinelli. Zucconi spiega la vendetta su Wolfowitz. Fuga dei cristiani dall'Iraq.

16.5.07

11minuti 16-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti
Immigrazione e violenza: da Mercedes Bresso soluzione svizzera sulla droga. Governo di sinistra e ambientalista, ma per l'Ue inquina. Dopo il family day i cattolici aprono ai laici, la Chiesa rilancia sul testamento biologico e Fassino si butta sul family gay. Conflitto a sinistra sugli interessi di Berlusconi ma l'Alitalia interessa a governo e sindacato. La maggioranza surgela il parlamento. Il centrodestra è sbrambillato

15.5.07

11minuti 15-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti
In Sicilia vince il centrodestra. Nel governo rivincita della sinistra? Mediaset compra la Rai via Endemol? Annunziata e Reibman sul Family Day. I comunisti non digeriscono i bambini.

14.5.07

11minuti 14-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11 minuti
11 minuti di rassegna e altri 22 di lettura e approfondimenti dai quotidiani di oggi.
Dadullah, ucciso. Un colpo durissimo per i Talebani, che sono in rotta con Al Quaeda. Dove Siete? I Ds si interrogano dopo gli aventini del Family Day e di Piazza Navona e si trovano d'accordo con se stessi. Ma su di loro il fuoco incrociato di Annunziata e Franchi. I Dico in archivio. I gay ora vogliono l'arci-matrimonio. Veltroni assorbe anche Moccia e il Secolo si scoccia.

11.5.07

11minuti 11-5. La rassegna stampa di Marco Taradash


11minuti

Rignano: il Procuratore Capo di Tivoli ci confonde un po'. Droga e Bus: la colpa è di chi vuole modificare la legge. Little Tony (il Manifesto) Blair abbandonato dalla sinistra. Che non è più riformista, né sulle pensioni (dice il Sole) né sul Riformista. Vargas Llosa sul Corsera: ero contro la guerra in Iraq ora non più. La vigilia del Family e del Lay-Day.