Garante di chi? Il Grande Fratello di Prodi contro los Amerikanos
Spento il fax di Palazzo Chigi, entra in scena il Garante per le Comunicazioni. L’obiettivo è lo stesso: impedire a Tronchetti Provera di farsi gli affari suoi, rientrando dal debito enorme contratto al momento dell’acquisto e mai sanato, e garantire al giro di banche che affiancano il presidente del Consiglio di mantenere il controllo su una società- la più grande azienda italiana, quasi centomila dipendenti - la cui proprietà è privata ma i cui favori sono sempre stati pubblici (nel senso del potere). Non voglio entrare nel merito della batracomiomachia che impegna campioni della finanza abituati da sempre alle logiche feudali di un sistema economico lontano anni luce dall’idea di mercato che ne hanno i liberali (destinati, come nel poema satirico di Leopardi, a fare sempre una brutta fine) . L’Italia, lo sappiamo, resta in fondo a tutte le classifiche internazionali sulla libertà di mercato e concorrenza. Incide il fisco, poi il fisco, poi il fisco, poi il pessimo uso che l’amministrazione pubblica fa dei soldi dei contribuenti (vedi alla voce scuola, giustizia, università, infrastrutture, previdenza, assistenza sociale, famiglia, trasporti), i vincoli sindacali e corporativi al mercato del lavoro, la corruzione, la criminalità organizzata, la scarsa credibilità del sistema bancario, l’eccesso di regolamentazione, il debito pubblico accumulato negli anni del consociativismo.
E’ così che nel 2006 siamo finiti al posto n. 42 nel mondo nell’indice redatto ogni anno dalla Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, con la prospettiva di scendere ancora più in basso nell’anno in corso per l’ulteriore aumento della pressione fiscale e dei cento e passa aggravi contributivi e burocratici imposti dal Governo Prodi. Che si fa bello, per giunta, del successo della lotta all’evasione fiscale sebbene il condonatore Tremonti avesse recuperato nel 2005 ben 2,6 miliardi di euro in più di quanto abbia fatto il vampiro Visco nel 2006 (19, 4 contro 16,8).
Telecom, Mediobanca, Intesa, Capitalia sono declinazioni di quell’ intreccio fra poteri politici ed economici che ben conosciamo e che appartiene alla degenerazione dello statalismo italiano in capitalismo di rapina. Qualcosa di simile è successo nella Russia postsovietica. Ma, dato che non ci vogliamo far mancare nulla, ecco che il Governo Prodi butta nella mischia anche i poteri istituzionali.
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Cominciò Angelo Rovati, alias del Presidente del Consiglio ed esperto nella raccolta di fondi elettorali. In una luminosa mattina di settembre dell’anno scorso, che per puro caso veniva appresso alla fatidica notte della passeggiata del portavoce Sircana nei labirinti dell’eros, si scoprì che Rovati aveva messo nero su bianco l’intimazione a Tronchetti Provera di cedere la rete fissa allo Stato, pena la condanna a sprofondare sotto il peso dei debiti e – udite udite!– a cadere vittima dei provvedimenti dell’Autorità per le comunicazioni. E per farsi meglio intendere l’alias aveva apposto sul fax lo stemma di palazzo Chigi. Scandalo, dimissioni, prima rifiutate poi concesse a denti stretti. Di Rovati, non del Garante, incautamente tirato in ballo dall’alias di Prodi. Dal Garante solo silenzio, non una protesta per essere stato usato in un’operazione così spudorata, e per l’offesa recata alla sua indipendenza garantita dalla legge.
Ed ecco che ieri a sorpresa il Garante si inserisce nello scontro fra Governo e Tronchetti Provera, che ha deciso fra le proteste delle banche di liquidare il presidente Guido Rossi, per offrire un sostegno non richiesto (o sì?) al giro di Prodi. Dice Calabrò: “Finora abbiamo lavorato bene con Guido Rossi sulla separazione della rete dai servizi, ma se dovesse mutare l’attuale clima di collaborazione segnaleremo al Governo la necessità di avere poteri più incisivi per imporre la separazione funzionale della rete”.
Parole gravi, inopportune, visto lo scontro in atto, e inappropriate al ruolo di un’Autorità super partes.
Non è in discussione se la separazione della rete fissa sia cosa buona o no per assicurare ai concorrenti un accesso più trasparente. Se lo è, del resto, non si capisce come mai fino a questo momento sia stata tollerata una situazione diversa e perché il garante non sia intervenuto per ripristinare le regole violate. Il problema è che oggi Calabrò si rivolge al Governo chiedendogli di fatto di emanare un decreto legge per modificare e rafforzare i poteri dell’Autorità. Un disegno di legge infatti sarebbe del tutto inutile, al fine di bloccare l’acquisizione dell’azienda da parte di AT&T e America Movìl, visti i tempi lunghi della discussione parlamentare. Calabrò chiede a Prodi ciò che Prodi, se non fosse rispettoso della separazione dei poteri (ma si può dubitarne?) chiederebbe a Calabrò di chiedere a Prodi: uno strumento d’urgenza, sottratto al controllo parlamentare, che affidi all’Autorità il compito di realizzare ciò che Palazzo Chigi direttamente non può fare, una volta fallito il blitz di Rovati. Ha proprio ragione il costituzionalista Sergio Fois: le Autorità rischiano di diventare un potere autoritario, irresponsabile e privo di qualsiasi legittimazione democratica.
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Il sogno dell’antico presidente dell’Iri, oggi presidente del consiglio, resta infatti quello che si celava dietro al piano Rovati: dare vita all’Istituto Reti Italiane (acronimo IRI, come ipotizzato sarcasticamente da Alberto Mingardi), accorpando Terna, Sna e Telefoni in quello che Oscar Giannino ha definito il disegno di “grande fratello” prodiano. Progetto cui Massimo D’Alema offre, attraverso il presidente della sua Fondazione ‘Italianieuropei’, Carlo Padoan, la necessaria copertura ideologica in chiave antiamericana: “E’ una questione di sicurezza nazionale. E’ illusorio che il mercato possa risolvere da solo questi problemi”.
E come no! Abbiamo paura di essere intercettati? Affidiamoci allo Stato!
5 Comments:
Ci riprovano. Prima l'hanno data agli Agnelli, poi a Colaninno, poi a Guido Rossi. Ora se la vogliono riprendere. Basta!!
Prodi ha distrutto l'Iri quando ne era presidente. Ora la vuole rifare da Primo Ministro. Che faccia tosta.
Meglio gli americani che sanno costruire le reti telefoniche delle banche che non saprebbero da dove cominciare. O no?
condivido il rimprovero a Calabrò; certo non si può che sperare che Calabrò abbia chiesto maggiori poteri per seguire la best practice inglese, ma i tempi della richiesta sono sospetti. Tuttavia credi che nella intervista Calabrò abbia mentito sui buoni rapporti con Rossi; in realtà fino a poche settimane fa le notizie che filtravano sulla partita dello scorporo della rete erano di ben altro tenore. Con Rossi che ricattava Calabrò e l'AGCOM sugli investimenti futuri, per i quali Telecom chiedeva in cambio un ammorbidimento delle regole asimettriche poste a favore dei concorrenti di TI
credo (io) che Calabrò abbia mentito
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