16.2.07

Laici? Sì. Ma non fateci giocare la partita statalismo-clericalismo.


Qualche giorno fa l’Osservatore Romano ha celebrato, in una triste ricorrenza (l’assassinio di Vittorio Bachelet), “quella famiglia una e indissolubile nella quale la comunità italiana ha trovato e trova una viva forza spirituale e civile”, parole pronunciate dall’insigne giurista nel remoto 1966. Quella famiglia, più virtuale che virtuosa, raccontata in modo assai diverso da Pietro Germi, esisteva forse prima del 1970, sebbene minata dalle facili e costose procedure di scioglimento praticate dalla Sacra Rota. Certo è che oggi è diventata quasi una rarità e quando esiste è in grazia della volontà dei coniugi, non della legge, né del matrimonio. Perché la famiglia preesiste alle leggi e fiorisce o appassisce sopra ogni terra e sotto ogni cielo. L’identificazione tra famiglia e matrimonio, che i cattolici riconducono a Dio e i laici alla Costituzione, è soltanto ideologica. La famiglia nasce quando una coppia si dona un impegno reciproco di continuità, di assistenza, e di amore.
E’ giusto quindi estendere a tutte le coppie quei diritti individuali e interpersonali che oggi fossero negati sulla base di un discrimine (matrimonio o no) che, se mai l’ha avuto, ha perduto ogni senso, visto come si forma oggi una famiglia in occidente, e anche la rapidità del suo scioglimento. Ma non si deve confondere una carenza di diritti con una discriminazione. La discriminazione non è una linea oltre la quale non puoi spingerti, è un’altra cosa, è un confine che non puoi varcare, e tu sei dall’altra parte. Oggi in Italia la discriminazione colpisce soltanto le coppie omosessuali. Su di esse grava ancora, da noi, l’anatema religioso o culturale. Per questo sono assolutamente favorevole al riconoscimento giuridico della coppia gay. Ma i Dico del Governo non rimuovono, anzi confermano, la discriminazione, limitandosi a estendere, a prescindere dal sesso, alcune forme di tutela individuale. Le persone gay però non aspirano alle tutele dello “stato sociale”, bensì al riconoscimento giuridico del loro “stato civile” di coppia. Diverso è il caso delle unioni fra un uomo o una donna. Esistono anche per loro alcune ingiuste o odiose limitazioni dell’esercizio dei diritti individuali, che si possono correggere subito e con modesto impegno (nell’ospedale, nel carcere, negli affitti eccetera).
Ma non parlerei di discriminazione. Perché non sposarsi, per un uomo e una donna - a differenza di una coppia omosessuale - è frutto di una libera scelta, che può essere liberamente modificata in ogni momento (e non si faccia il caso dei separati in attesa di divorzio: i tempi di attesa dei benefici sociali previsti dai Dico vanno a sovrapporsi proprio ai tempi del divorzio; tempi che sarebbe invece saggio ridurre largamente, soprattutto nel caso delle separazioni consensuali). Se i Dico offrono più o meno gli stessi privilegi del matrimonio civile e molti meno svantaggi, è indubbio che si va a creare un istituto concorrente e più vantaggioso: una terza forma di matrimonio, di non so quale serie, con il ripudio al posto del divorzio (o dell’annullamento). Non crollerà il mondo, ma non credo che il principio di responsabilità ne risulterà rafforzato. E certamente ne soffrirà il principio di libertà, in virtù di uno uno Stato che viene a interferire pesantemente con le sue offerte gratuite di tutela sociale (in realtà a carico dei contribuenti) su una libera scelta di convivenza non codificata. E che apparecchia per giunta il tranello della raccomandata con ricevuta di ritorno in virtù della quale una libera convivenza si trasforma ipso facto in uno pseudomatrimonio, anche senza il consenso del partner. Ennesimo esempio delle distorsioni che nascono dall’ansia di regolamentare anche ciò che con pieno diritto sfugge al controllo dello Stato.
L’ingerenza della Chiesa nella sfera dello Stato è oggi prepotente, ma contrastabile. Ma l’ingerenza dello Stato nel cerchio magico delle libertà individuali è molto più dannosa e lascia lividi molto più dolorosi.Sono queste le mie obiezioni ai Dico. Che mi farebbero militare, secondo quanto ha scritto qualche giorno fa sul Riformista Emanuele Macaluso, del cui pensiero tengo sempre gran conto, nella schiera dei bolscevichi berlusconiani. Non è così. Semplicemente appartengo a una cultura diversa da quella che vede nell’intervento della legge o dello Stato, sempre e comunque, l’esplicazione di funzioni di progresso e di felicità. Forse anche a sinistra, come altrove, sarà un giorno possibile accettare che la si pensi diversamente solo perché la si pensa diversamente.

11.2.07

Dico: Un nuovo mostro statalista.


C’è un’ingerenza impropria del Vaticano nelle cose dello Stato a proposito dei Dico? No in generale (perché l’ingerenza dei gruppi di pressione è il sale della società aperta), sì, a mio parere, nel caso di monsignor Fisichella che, vedi l’intervista al Corriere della Sera di ieri, si rivolge direttamente ai parlamentari cattolici e ingiunge loro di seguire le disposizioni della Chiesa. Occorre reagire, anche se in nome del lato oscuro dei rapporti fra Stato e Chiesa, il Concordato. Ma quello che dovrebbe altrettanto se non di più preoccupare i laici di cultura liberale è l’ingerenza dello Stato nel “cerchio magico” delle libertà personali. E cos’altro sono i Dico se non un intervento che mira alla statalizzazione della libera unione fra due persone? Il governo offre, in cambio della rinuncia alla libertà di stare insieme senza controllo esterno, una serie di vantaggi concreti e richiede qualche assunzione di doveri. E propone un pacchetto di norme che finiscono per dare ragione alle proteste del cardinale Ruini e della Cei. Diritti (in linea di principio, poi si vedrà) di serie A, doveri (teorici) di serie C.
Un’alternativa effettiva al matrimonio, almeno a quello civile, quando i Dico entrassero un vigore. Certo, probabilmente è tutta una bolla di sapone, è possibile che i Dico facciano la fine delle “liberalizzazioni” di Bersani (che in molti casi sono pratiche interventiste a tutela del consumatore in un quadro di mercato asfittico, che tale resta: vedi l’abolizione del ticket sulle ricariche, che slitta a non si sa quando). Ma resta il fatto che si viene a minare contemporaneamente non la famiglia, come dicono i conservatori - perché la famiglia preesiste alle leggi - ma l’istituto del matrimonio civile da una parte e le libere convivenze dall’altra. E lo si fa sia con gli strumenti dello stato sociale, senza neppure sapere se le casse dello Stato reggeranno all’urto, sia con interventi mirati ad alterare le norme che regolano i contratti fra gli individui. Invece, ad esempio, di rendere meno punitive le procedure e i tempi del divorzio consensuale, invece di abolire o rivedere le norme sulla successione “legittima”, si crea una terza forma di matrimonio nel segno della libertà vigilata e dell’irresponsabilità diffusa.
Perché tutto questo pasticcio? Semplicemente perché il Governo “progressista” si è assoggettato all’omofobia di cui è intrisa tanto la tradizione della Chiesa quanto la cultura prevalente a destra come a sinistra. Invece di stabilire norme ad hoc per garantire diritti alle coppie omosessuali che soffrono di una effettiva discriminazione nei confronti di quelle etero, si è preferito scegliere - contro il diritto - la tutela. Una tutela che, per mascherare ancora di più i vantaggi che potrebbero ricavarne le persone omosessuali, ricacciate nell’ombra, viene estesa a quasi tutti i casi possibili e immaginabili di coabitazione. Col bel risultato di dare vita all’ennesima mostruosità statalista e di ridurre ancora un po’ lo spazio delle libertà individuali.