17.12.06

Amato e l'Europa che non c'è.


Interessante l’intervista di Giuliano Amato ad Aspenia, riportata parzialmente dal Corriere di oggi. Soprattutto dove dice: “Possiamo anche avere le idee giuste, come europei; ma senza l’America non decolleranno mai”. Segue un opportuno bagno di umiltà: “Passare dalla sfiducia nell’Europa a un eccesso di fiducia nelle sue capacità internazionali, ci porterebbe davvero fuori strada..”.
Benissimo. Anche dove dice che i repubblicani hanno perso le elezioni di mid-term non perché Bush vuole mantenere l’esercito in Iraq, ma perché non sa bene cosa farne: “In realtà è possibile concludere che gli americani non si siano schierati tanto contro la guerra in quanto tale ma contro la sconfitta in guerra”.
Nasce la domanda: ma perché l’Europa conta così poco, perché non è una potenza, perché non sa assumersi una responsabilità internazionale che sia una? Tranne quella di aprire il dialogo con le dittature, cosa che Amato rivendica come una differenza positiva, ma che a me ricorda piuttosto la politica andreottiana, usa a colmare gli spazi vuoti, o meglio i buchi neri, pronta al dialogo con la Libia di Gheddafi in politica estera come con la mafia siciliana in politica interna.
Perché dunque? Fondamentalmente perché gli Usa, pur divisi al loro interno come e più degli europei, hanno saputo elaborare una teoria dei valori condivisi attraverso la costruzione un sistema politico che riconosce non soltanto la divisione dei poteri ma anche l’esercizio dei poteri. Soprattutto del potere politico presidenziale, ragione e regola di unificazione della nazione grazie alla sua stabilità istituzionale e precarietà elettorale. A questo gli americani sono giunti non senza discordie e tragedie, come una sanguinosissima guerra civile. Ma ci sono giunti. L’Europa ha perso la sua grande occasione nel secondo dopoguerra, quando democrazie fragili ma sicure di sé avviarono il cammino verso la federazione. Quel percorso è da lunghissimo tempo in una fase di imbarazzante stallo, o forse nel bel mezzo di sabbie mobili politiche, culturali ed economiche (tanto che forse è meglio che ormai l’Europa non si muova neppure, per non sprofondare sempre più).