23.5.06

La fiaccola sotto il Moggi (nell'antica e decaduta casa dei de Sangro..)


La nomina di Francesco Saverio Borrelli a capo dell’ufficio indagini della Federazione gioco calcio conferma la lettura che ho dato subito dopo le prime mosse del Governo Prodi: che era in corso un tentativo di approfittare dello scandalo che va sotto il nome di Moggi per impadronirsi di uno strumento essenziale di controllo dell’opinione pubblica e dei mass-media. Le nomine dell’ex senatore (eletto nelle liste Pci) Guido Rossi a commissario straordinario della Fgci e di Giovanna Melandri al nuovo ministero dello sport avevano uno scopo preciso: mettere le mani sul calcio e tentare di orientare politicamente le emozioni che la passione calcistica suscita.
La decisione di oggi amplia la natura dello scontro: si affida a Borrelli, il meno neutrale fra tutti gli ex magistrati a disposizione dello Stato, il compito di far luce sullo scandalo. In questo modo si trasforma un caso clamoroso ma in fin dei conti circoscritto in un “affare di stato” con ripercussioni esplosive e imprevedibili su tutto lo scenario politico. Non c’è ingenuità in questo, ma voglia di rivincita politica con regole truccate e l’arbitro compare. La scelta che ci verrà offerta sarà fra un bel mucchio di sabbia o un immane polverone.

20.5.06

Siamo tutti juventini


Ammettiamolo. Luciano Moggi non ha un aspetto simpatico. Assomiglia esattamente a quello che è: un trafficante di uomini in calzoni corti. Non di schiavi però, ma di miliardari, il che fa una certa differenza. Ce ne saranno di più simpatici e più raffinati in quel giro, ma la media non dev’essere molto diversa: ve la ricordate la tremenda Christina Pagniacci, la spregiudicata insensibile proprietaria dei Miami Sharks in “Ogni maledetta domenica”, il film di Oliver Stone, e i suoi epici scontri col generoso Al Pacino, allenatore vecchio stile? Certo un paragone fra Cameron Diaz e Luciano Moggi è azzardato, lo capisco, ma l’ambientino è quello. Dove lo sport si intreccia coi quattrini, con tanti tanti quattrini, tutto il mondo è paese. Se poi la spregiudicatezza si incontra con un ambiente dove predomina la logica di scambio, il favoritismo, il politicantismo, l’indifferenza verso le regole, l’ignoranza del mercato, l’assenza dei controlli, allora siamo in Italia. Dove ogni due per tre scoppia il caso. Che suscita sdegno, impone autocritiche, costringe ad approvare una ultima imprescindibilmente ultima legge salva-sistema, dopo di che tutti gli scampati ricominciano a fare esattamente quello che facevano prima. Parma, Lazio, Roma, Catania, Torino, Napoli, Genoa, Fiorentina.. tutte pietre miliari degli scandali calcistici più recenti. Tutte ultime volte, naturalmente.
Ora tocca alla regina, la Juve, e al suo stalliere (parere di Gianni Agnelli su Moggi: “Lo stalliere del re deve conoscere tutti i ladri di cavalli”). 100.000 telefonate registrate, trascritte e generosamente fatte filtrare dagli uffici di varie procure della Repubblica ci hanno fatto annusare senza filtri l’odore di stalla che emana dal calcio italiano, e siamo tutti qui a premerci il fazzoletto sul naso per non vomitare. Grazie procure! E’ il grido che si leva da mezza Italia, quella non juventina. Quanto godiamo nel vedere gli adoratori della zebra con la coda fra le zampe, finalmente. Però.
Però, facciamo attenzione. Però sta succedendo qualcosa che non ci piace per nulla, nemmeno a noi che adoriamo Totti. Succedono cose già viste all’epoca della guerra alla mafia, e poi di tangentopoli, solo che ora ne vediamo il replay, alla moviola. Taroccata. Sì, anche questa di calciopoli.
Ve lo ricordate il processo Andreotti? Figura politica discussa assai, il Moggi della Dc potremmo dire. A me Andreotti non è mai piaciuto, né prima né dopo il processo. Ma quando l’hanno accusato, Luciano Violante, Giancarlo Caselli, il Pci-Pds-Ds e i suoi emissari nella magistratura, di essere uomo di mafia, di aver baciato in bocca Totò Riina, di aver truccato processi col più autorevole, colto e austero dei magistrati italiani, il presidente della I sezione della Cassazione Corrado Carnevale, abbiamo capito qual era l’operazione: mettere una pietra sopra al sistema di collusioni fra mafia e politica, che attraversava i maggiori partiti siciliani, dalla Dc, con tutte le sue principali correnti di destra e di sinistra, al Psi al PCI, ricostruirne la verginità e affidare alla sinistra la guida morale dell’antimafia, e l’immenso potere che ne derivava. E allora sono diventato, e tante altre persone con la schiena dritta con me, andreottiano. E i giudici di Palermo mi hanno costretto a restare andreottiano per dieci anni, cosa che non gli perdonerò mai!
Trasferiamoci a Milano. Tangentopoli, grande inchiesta contro la corruzione politica. Finalmente i taglieggiatori che si erano annidati nel cuore delle istituzioni e del sistema dei partiti venivano smascherati, evviva. Ma l’inchiesta giudiziaria, benemerita, contro sprechi, ruberie e corruzione, durò poco. Subentrò l’operazione “Mani Pulite”, la strategia del ragno organizzata dai giudici di partito e dal partito dei giudici per coinvolgere le loro vittime e tutta l’opinione pubblica in un disegno politico golpista: azzerare la prima repubblica, liquidare i partiti che l’avevano governata, affidare alla sinistra scampata alle retate la ricostruzione del sistema sotto la tutela dei ‘guardiani della virtù’ delle Procure. A un passo dal successo il progetto fallì, perché dal vuoto politico scavato nell’Italia anticomunista uscì il drago Berlusconi (a proposito, ancora e sempre grazie, nonostante tutto).
Ed eccoci a Moggi. E al perché oggi “non possiamo non dirci juventini”, cari Liguori, Marcenaro e compagnia decantante (l’inchiesta giudiziaria).
Primo perché le intercettazioni non sono un’indagine, ma mezzi accessori. Cento sono utili, mille abbondanti, diecimila uno sproposito, centomila un indicibile spreco di risorse finanziarie, organizzative e umane. E, in un paese libero, uno scandalo. Secondo, perché Moggi è quello che le intercettazioni descrivono, ma i suoi compari e avversari saranno diversi? Finché non lo sapremo avremo soltanto la visione della parte illuminata del pianeta di cuoio. Dateci un’altra milionata di intercettazioni e cominceremo davvero a capire qualcosa. Terzo (e, come Totò, anche stavolta l’affaire si butta a sinistra) perché col mostro sbattuto in prima pagina dalle Procure e dai giornali si sta compiendo la solita operazioncina: scartato con una finta Gianni Letta, commissario del calcio diventa Guido Rossi. Un’autorevole personalità certo, ma perché scegliere proprio chi si fece eleggere nelle liste del PCI al Senato e ancora una decina di giorni fa sponsorizzava l’ascesa di D’Alema al Quirinale? E c’era proprio bisogno di un nuovo ministero, quello per lo sport, e di affidarlo a una ultrà diessina come Giovanna Melandri? State tranquilli, se passa l’idea che il problema del calcio italiano è Moggi, il marciume del calcio riceverà solo una ripulitura di facciata, come accaduto per la mafia, o per la corruzione amministrativa, ma i profitti politici saranno riscossi da una parte sola. Sempre quella.

16.5.06

Il discorso di Napolitano. O della differenza fra riformismo e verità


Riformismo della Resistenza: occorre superare “le vecchie laceranti divisioni nel riconoscimento del significato della resistenza (applausi a sinistra) pur senza ignorare zone d’ombra, eccessi e aberrazioni” (applausi a destra). Benissimo. Ma forse un accenno al fatto che “la liberazione dal nazifascismo” è stata dovuta essenzialmente agli alleati angloamericani avrebbe portato sulla via verso la verità. Un vero discorso riformista quello del Presidente: riformista della Resistenza, del comunismo, dell’antiamericanismo, del sindacalismo, del laicismo, del giustizialismo, dello statalismo. La morale? Non buttate via niente, guagliò.
Riformismo del comunismo: Napolitano ha la sua storia di comunista diventato post soltanto perché l’impero sovietico si è sbriciolato nel frattempo. Lo sappiamo. Però se si vuole fare un discorso alto sull’Europa non si deve fare riferimento ai nuovi ingressi nell’Unione presidio di pace e di tante altre belle cose, dimenticando che questi paesi all’Europa sono approdati dopo essersi liberati dalla schiavitù della dittatura sovietica.
Riformismo del sindacalismo: la Repubblica, ci ha confermato il Presidente, garantisce il diritto al lavoro. E pazienza se questa è una delle frasi più vuote e inconcludenti della nostra carta fondamentale. Essa però è sempre servita a riempire di un carisma istituzionale il traffico politico della triplice sindacale. Cui Napolitano offre l’atteso sigillo del riconoscimento del suo “ruolo decisivo”, pur chiedendole “forti aperture all’innovazione”. Come no! Come se non fossero i sindacati concausa principale degli scarsi riflessi del nostro sistema produttivo e dell’inefficienza dei servizi pubblici
Riformismo del laicismo: parole che condividiamo quelle di Napolitano sulla dimensione sociale e pubblica del fatto religioso. Ma che senso ha inserirle nel “deferente ringraziamento e saluto” a Benedetto XVI, se non confermare che in realtà ciò che sta a cuore è il rapporto con la Chiesa cattolica, da potere a potere, non la libertà religiosa come componente essenziale della libertà individuale?
Riformismo del giustizialismo: qui a dir la verità il Presidente si è risparmiato. Pensiero commosso alla dignità ferita, dalle tensioni con la politica, di coloro che sono chiamati ad assolvere “una così alta funzione costituzionale”, la giustizia appunto; eppoi omaggio al CSM, espressione e presidio eccetera eccetera. Tranne un accenno ai tempi lunghi dei processi tutte le aberrazioni giustizialiste sono passate in cavalleria, anzi, corazzeria.
Dulcis in fundo il riformismo dello statalismo: viva la sussidiarietà, ma intesa alla cattocomunista, come “risorse della partecipazione di base” che ovviamente spetta allo stato, e alle “istituzioni locali”, specie e come nelle regioni rosse immaginiamo, udite udite “canalizzare”. O forse voleva dire “cannibalizzare”?

11.5.06

Forse se ci fosse una sacra rota per i pacs...


Benedetto XVI fa semplicemente il suo mestiere quando ricorda ai cattolici, che forse non ne hanno grande memoria, vista anche la prassi della Sacra Rota in materia di annullamento, la dottrina della Chiesa sul matrimonio, riaffermando una antropologia dell’amore legato alle verità di fede. Però è verità empirica che nella società italiana esistono decine di migliaia di coppie, eterosessuali e no, cattoliche e no, che hanno scelto di vivere un unione “forte” pur senza celebrare matrimoni di stato o religiosi. Realtà che ha creato nel mondo delle democrazie liberali, che vedono al centro delle istituzioni politiche la libertà individuale, l’esigenza di regolarizzare legislativamente le unioni di fatto. Questa necessità è tanto più forte nel caso delle unioni fra omosessuali, perché in questo caso non è possibile, neppure teoricamente, l’alternativa fra situazioni di fatto e matrimonio.
E’ per questo motivo che i Riformatori Liberali ritengono importante procedere rapidamente in Parlamento al varo di una legge in tal senso, sulla base delle proposte di legge presentate nella scorsa legislatura anche da vari esponenti del centrodestra e di Forza Italia in particolare. Vale anche la pena ricordare che leggi fra le più innovative in tal senso sono state approvate in Spagna sotto il governo Aznar, senza suscitare particolari resistenze da parte di un episcopato che mai si è contraddistinto per una spiccata attitudine a una lettura innovativa della tradizione cattolica.

10.5.06

Napolitano Presidente della Repubblica, Amato da chi?

Anagramma di Giorgio Napolitano: "Gran gioia. Il topo no"

7.5.06

Recensure - “Il regista di matrimoni” di Marco Bellocchio

Film per cinefili, ma anche, in almeno tre scene, per cinofili. Impianto bunueliano, torsione bergmaniana. Sfida fra la vita e la morte: prevale la morte, ma si ubriaca, malcontenta di sé. Rilettura revisionista dei Promessi Sposi e del Gattopardo: Don Rodrigo è il padre di Lucia, l’Innominato è Manzoni stesso. Il principe di Salina non ha nipoti, ma una Angelica, e non intende cederla alla borghesia. Su tutto grava un’oscura aura di cattolicesimo. La morale è questa: a ognuno sono date molte vite, e noi le viviamo tutte; tranne quella che ci interessa.
Profilo: aristocratico.

5.5.06

D'Alema al Quirinale? E Moggi a designare gli arbitri

Visto che sanno di non avere un vero presidente del Consiglio, a sinistra hanno escogitato l’intrallazzo: Prodi mezzadro e D’Alema al Castello. Boh, se trovano i voti, facciano pure. Ma non chiedano in giro complicità in un’operazione che ricorda i modi di fare di un mandamento più che di un parlamento.
L’assetto costituzionale italiano uscirebbe stravolto da una presidenza D’Alema . Ogni impianto costituzionale si regge sul modo di interpretarne funzioni ed equilibri. L’esempio più illustre di organizzazione delle libertà civili è quello britannico: in assenza di una costituzione scritta, soltanto il self-restraint politico ne garantisce la robustezza e tenuta. L’elezione di D’Alema romperebbe il costume costituzionale italiano, portando alla presidenza della Repubblica il vero leader del centrosinistra. Purtroppo (per lui) D’Alema non può governare, un po’ perché i comunisti sono sempre ex, post o neo, ma di mettersi in discussione non ci pensano proprio, un po’ perché il centrosinistra è un coacervo di interessi, poteri, ideologie, moralismi, ipocrisie che soltanto un leader senza leadership può tenere insieme.
E allora spedisce a Palazzo Chigi un tecnocrate disposto a far la parte del tecnocretino ogni volta che sia necessario (ma ve lo figurate Asor Rosa all’istruzione?). Però c’hanno provato già una volta e gli è andata storta. Ed ecco che a qualcuno è venuta in mente la genialata. Stravolgiamo la costituzione, ma zitti zitti, senza farcene accorgere. Inventiamoci una versione rozza e illegale del presidenzialismo alla francese, con l’uomo forte della sinistra sul colle più alto e teniamoci un presidente del consiglio che è l’emblema del precariato. Sarà sull’orlo costante della crisi di governo, ma chi se ne frega, di più con questi partiti e colle nostre camorre non si può fare.
E domani, se il terreno ci franasse sotto i piedi e la Cdl rivincesse le elezioni, avremo una coabitazione forzata, inefficiente, rissosa. Grasso che cola, per i patrioti del centrosinistra. E già che ci siamo, avrà sussurrato l’altro leader dei Ds, il presidente del consiglio in aspettativa (debenedettiana), lo juventino Veltroni, perché non candidiamo Moggi a designatore degli arbitri?