30.12.05

Cdl, Taradash a Follini: le grandi coalizioni non fanno riforme

Da ‘Il Velino.it’ del 30 dicembre 2005
“Io credo che la grande coalizione di cui parla Follini non possa fare nessuna riforma”. Marco Taradash, portavoce dei Riformatori liberali (i radicali che hanno scelto di schierarsi con il centrodestra), dissente dalle tesi che Marco Follini, ex segretario dell’Udc, ha espresso in un’intervista pubblicata dal Corriere della sera. Nella conversazione con il quotidiano diretto da Paolo Mieli, Follini ricorda che, “come è noto”, sostiene “la possibilità di una grande coalizione per realizzare le riforme. Ma non vorrei che si realizzasse nel segno che dice Bondi: cioè nel segno del malumore contro i giornali e dello spettro dei poteri forti”. Un concetto sul quale torna alla fine dell’intervista: “Si deve ripartire dalla ritessitura del sistema istituzionale. Se restiamo nella dinamica dei continui regolamenti di conti, non ne usciremo più”. Taradash ribatte che “per le riforme istituzionali la strada migliore è rappresentata dall’assemblea costituente. Oggi - dice al Velino il portavoce dei Riformatori liberali - le riforme si sono probabilmente arrestate, in attesa del referendum che potrebbe anche cancellare le novità introdotte dal centrodestra, restaurando il titolo V della Costituzione disegnato dal centrosinistra, che ha creato imbarazzo nelle persone di buon senso e ingorghi di fronte alla Corte costituzionale. Ma è bene - sottolinea Taradash - che l’assemblea costituente sia separata dai poteri di governo, espressione di una maggioranza chiara, e da un’opposizione altrettanto chiara. Quanto alle grande coalizioni, non servono a cambiare gli assetti istituzionali ma ad attraversare momenti eccezionali

24.12.05

Indecisi a causa dell'indecisionismo

“Il premier Berlusconi ha annunciato che per un mese intero si dedicherà a convincere gli indecisi. Ha ragione, perché gli indecisi sono così tanti che, paradossalmente, decideranno loro della vittoria dell’una o dell’altra coalizione.

Ma per la stragrande maggioranza di essi la scelta, come dimostrano i risultati delle elezioni negli ultimi tre anni, non è tra centrodestra e centrosinistra ma fra l’astensione e il voto per la CDL. Due sono le ragioni di questa incertezza. Da un lato, chi ha sostenuto in passato il programma di grandi riforme liberali della CDL, è rimasto sconcertato di fronte al continuo ed efficace remare contro di parte della coalizione. Dall’altro, non deve essere sottovalutata l’irritazione di quella parte assai consistente di elettorato laico che non vota a sinistra davanti ai cedimenti di parte della CDL sui temi dei diritti civili e delle libertà individuali.

Per scongiurare la stagnazione politica occorre una svolta decisa: i liberali, i radicali, i laici che hanno dato vita ai Riformatori Liberali chiedono a tutta la coalizione di sconfiggere il pessimismo rilanciando con forza l’alternativa liberale e liberista al conservatorismo politico e sociale del centrosinistra, e ai suoi condizionamenti economici, sindacali ed ideologici.

Per l’affermazione definitiva del suo programma liberale Berlusconi trova oggi in Europa un formidabile sostegno nell’alleanza che si è creata fra il nuovo premier tedesco Angela Merkel e il leader britannico Tony Blair. Quando Merkel, citando Blair, individua nel fallimento del vecchio modello della ’economia sociale di mercato’, la ragione della stagnazione economica e della disoccupazione crescente in Germania e nel Continente, crea le premesse per una straordinaria stagione di riforme liberali in Europa.

L’Italia guidata da Berlusconi può essere una fondamentale co-protagonista di questa rivoluzione liberale, e se questo sarà il messaggio politico che il premier rivolgerà agli elettori, siamo certi che non mancherà alla CDL il voto di quei milioni di indecisi"
BdV & MT

22.12.05

Una buona notizia, e una pessima.

La buona. Angela Merkel non ci delude. Ieri ha detto che Tony Blair ha ragione quando individua la causa dell’euroscetticismo nella crisi economica dell’Europa, che produce disoccupazione crescente e stagnazione produttiva. Secondo Angela Merkel, e Tony Blair, e i Riformatori liberali, all’origine del declino economico e politico dell’Europa c’è il modello continentale di sviluppo, quello che in Germania va sotto il nome di “economia sociale di mercato”. Modello che ha tanti ammiratori anche fra noi, fra i conservatori di sinistra (tutti) e quelli di destra (la gran parte). Per Merkel invece è l’ora di cambiare.
La pessima. Ancora un giro di vite per le libertà civili in Russia. La Duma ha votato ieri una legge, vaga nella sua lettera, che dà allo stato il diritto di espellere organizzazioni che violino la sovranità, l’unità o l’eredità culturale della Russia. Soltanto grazie alle dure pressioni degli Usa è stata rinviata, per il momento, la decisione di espellere subito gruppi come Amnesty International e Human Rights Watch. Da oggi sono sotto minaccia di chiusura arbitraria circa 300 mila organizzazioni di assistenza o impegno civile. Potranno sopravvivere soltanto se si conformeranno alla volontà di un governo sempre più autoritario e sempre più ispirato dai metodi di quel Kgb di cui Putin fu autorevole dirigente dal 1975 fino alla caduta del comunismo.

16.12.05

P2 P38 PSCALFARI PIRLATE

NETANYAHU: "DE BENEDETTI MI VOLEVA MINISTRO FINANZE IN ITALIA"
"Ma io ho preferito rimanere in Israele"
Gerusalemme, 15 dic. (Apcom) - Benjamin Netanyahu, l'ex primo
ministro israeliano, appartenente alla destra del partito Likud,
ha affermato di aver ricevuto da Carlo de Benedetti l'invito ad
assumere la carica di ministro delle Finanze in Italia. Lo
riferisce l'edizione on line del quotidiano israeliano Yediot
Aharonot.
"Ho avuto non molto tempo fa la proposta di diventare ministro
delle Finanze in Italia, ma ho deciso di rimanere qui (in
Israele)", ha dichiarato Netanyahu di fronte a un forum della
stampa israeliana, secondo Yediot Aharonot.
Quale ministro delle Finanze nel governo di Ariel Sharon,
Netanyahu ha portato avanti una politica economica aggressiva e
ultra-liberale. Si è dimesso dall'incarico lo scorso agosto, in
segno di protesta contro la decisione di Sharon sul ritiro
unilaterale dalla Striscia di Gaza.
Attualmente Netanyahu è uno dei candidati alla successione
diello stesso Sharon alla guida del Likud, il partito di destra
israeliano da cui il premier si è distaccato per dar vita a una
formazione di centro in vista delle elezioni poliche anticipate
del prossimo marzo. (con fonte Afp)
Fus
15-DIC-05 16:17 NNNN

NETANYAHU/ TARADASH: DE BENEDETTI PUNTERA' A BUSH PREMIER?
Prossimo governo Veltroni-Rutelli prende forma
Roma, 15 dic. (Apcom) - Marco Taradash, portavoce dei Riformatori
Liberali (CdL), si legge in una nota, ha commentato
favorevolmente le notizie riportate dall'agenzia ApCom
sull'offerta del ministero delle finanze rivolta da Carlo De
Benedetti all'ex premier isaraeliano, Netanyahu.
"Il prossimo governo De Benedetti, capeggiato da Walter Veltroni
e Francesco Rutelli - sostiene - prende dunque forma. Nonostante
la nostra collocazione nello schieramento avversario, giudichiamo
ottima la scelta del liberista Benjamin Netanyahu per il
ministero dell'economia, anche se l'alleanza fra Bertinotti e il
nuovo capo dell'opposizione israeliana, il leader laburista
Peretz, che proviene come noto dall'ala massimalista, potrà
creare qualche problema all'eventuale futura maggioranza. Ma ci
risulta che l'editore del gruppo Espresso-Repubblica stia
preparando la contromossa: anticipando la fine del suo mandato
assumerà le funzioni di primo ministro italiano lo stesso George
Bush, facilitando in questo modo, conformemente ai disegni di De
Benedetti, la corsa di Hillary Clinton alla Casa Bianca,
affiancata da Valter Veltroni come vice".
"Scontato a questo punto l'incarico al ministero delle pari
opportunità per Condoleeza Rice, che prenderà il posto di Livia
Turco. Francesco Rutelli, nel frattempo, ha accusato Arturo
Parisi di sabotaggio perché ancora convinto che Romano Prodi sia
il leader dell'Unione. Quanto a Carlo De Benedetti, avrebbe
restituito la tessera n. 1 del partito democratico".
Red/Bac
15-DIC-05 17:57 NNNN

12.12.05

Sull'inchiesta de Il Tempo sugli aborti "facili" a Roma

Da Il Tempo del 10 dicembre 2005, p. 1

Lettera di Marco Taradash

Caro direttore, se l'inchiesta del Tempo sulla "fabbrica degli aborti" avesse voluto farci capire che di ospedali meglio organizzati e più "amichevoli" abbiamo bisogno a Roma e in Italia, e di medici meno sbrigativi, e di strutture più accoglienti, beh, ci sarebbe riuscita. Ma, diciamocelo francamente, è come sparare sulla Croce Rossa. Anzi, pardon, sul Cristallo Rosso, come da oggi dovremo chiamare quella benemerita organizzazione, in virtù della "correttezza politica" che impedisce di esporre segni che richiamano identità religiose particolari - segno dei tempi, e di tempi duri (che tali sono a causa del diffondersi non della laicità, ma del fanatismo religioso di marca islamica).
Se invece lo scopo dell'inchiesta era, come era, di mostrare la solitudine di due ragazzi, due fidanzatini, che si trovano a dover affrontare l'angoscia di un aborto, non saprei dire come è andata. Mi domando: è davvero lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, che può dare una risposta a un dilemma morale, o sociale, così personale? Non hanno questi ragazzi genitori comprensivi, o coetanei attenti, o un amico di famiglia, o un sacerdote capace di ascolto, con cui confrontarsi prima di decidere? È naturale, in situazioni così difficili, attendersi aiuto e conforto psicologico anche da chi, un medico ginecologo o un'infermiera appena incontrati, non ha alcuna speciale professionalità per trattare con persone di cui sono sconosciute psicologia, storia, retroterra sociale o affettivo. Certo, si può essere fortunati e incontrare uno di quei medici che in generale hanno più attenzione per il malato che per la malattia: ce ne sono, immagino. Ma, diciamocelo francamente, dai medici ci aspettiamo di solito che facciano al meglio il loro lavoro di ausculta, taglia e cuci, e se tutto fila liscio tiriamo un bel sospiro di sollievo. Il resto è optional. In questo caso, è vero, non di malattia si tratta, ma di una richiesta di intervento medico molto particolare. La legge, lo si sa, non affida al medico il compito di mettere in discussione la scelta della donna che vuole abortire: la struttura sanitaria o il consultorio sono tenuti invece a esaminare se l'aborto è davvero una scelta obbligata quando alla sua origine vi sono ragioni economiche, sociali o familiari. Ma le leggi, specie in Italia, alle volte sono più manifesti ideologici che prescrizioni pratiche. Cosa significa infatti "offrire tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza che dopo il parto" come recita la legge 194? Tutti gli aiuti necessari, chi mai potrà garantirli? E' vero quanto lei scrive, che per le donne immigrate, che sono arrivate in Italia da paesi lontani per lavorare, e che oggi alimentano le statistiche sull'incremento degli aborti in Italia, l'alternativa reale è fra il bambino e il lavoro, fra la gravidanza e la casa che le ospita. Anche se volessero avere un figlio, non potrebbero. È profondamente ingiusto che sia così, ma se esiste una soluzione questa non può venire, temo, dalle strutture pubbliche. Negli Stati Uniti, sotto la pressione congiunta dei gruppi antiabortisti conservatori e dei sostenitori liberal delle "azioni positive", per lungo tempo hanno finanziato adeguatamente le ragazze madri, specie quelle di colore. Ma il risultato è stato negativo: è aumentato il numero dei figli nati fuori del matrimonio solo per garantire a madri e più spesso padri nullafacenti l'assegno sociale, si sono moltiplicati i casi di ragazzini e ragazzine abbandonati al loro destino sulle strade dello spaccio, della prostituzione e della delinquenza urbana. Finché non è stata fatta marcia indietro. Ben vengano allora i volontari pro-life nei consultori, ne sono convinto anch'io. Purché non sia un'ennesima forma di volontariato all'italiana, senza criteri di valutazione della professionalità ma con stipendio garantito. Purché ci sia capacità di ascolto più che fervore di predicazione, perché -come ha scritto benissimo sull'Avvenire, il quotidiano dei Vescovi, Marina Corradi - "fa tremare l'idea che si possa anche solo pensare di portare nei consultori la veemenza che alcuni usarono nella battaglia del referendum abrogativo della legge 194". In ogni caso, lo sappiamo, il numero degli aborti potrà essere sì ridotto, ma non certo cancellato. E, al di là del giudizio sulla legge 194, resta il fatto positivo che nel corso degli ultimi venti anni fra le italiane il numero degli aborti si è dimezzato. Merito di una consapevolezza maggiore sulla scelta di abortire e sulle sue conseguenze, delle condizioni di vita migliori, di una cultura sessuale più matura, della diffusione dei contraccettivi. A proposito della contraccezione: resta in me lo stupore sull'intransigenza della Chiesa contro la diffusione di questo che è il principale strumento per ridurre gravidanze indesiderate e interruzioni di gravidanza, nonché le infezioni sessuali, Aids in primo luogo. Ho letto che in paesi europei come la Romania, dove i contraccettivi sono ancora poco diffusi, e non certo per ragioni religiose, il tasso di aborti rispetto alle gravidanze è altissimo, e sfiora l'80 per cento. Detto questo, che pure va ricordato, la foto che ieri il Tempo ha pubblicato in prima pagina, vale più di mille articoli. Il problema c'è. C'è, al di là delle diverse opinioni sulle questioni di fondo (l'inizio della vita umana o il concetto di persona) che non dovrebbero mai essere usate come stendardi ideologici o confessionali da agitare contro chi la pensa diversamente. E forse, proprio perché sono divisi in modo inconciliabile sulle questioni di fondo, i sostenitori della libera scelta e quelli della vita a ogni costo - i "pro-choice" e i "pro-life"- hanno il dovere di dare valore a ciò che li unisce più che a ciò che li divide.
Marco Taradash

La risposta di Franco Bechis, direttore de Il Tempo

Caro Marco, sono d'accordo con te su molte cose che scrivi. Ma lasciami partire dall'ultima perché è quella essenziale: la foto pubblicata ieri e oggi riproposta da Il Tempo. Come dici tu, vale più di mille articoli. Molti sono rabbrividiti per lo choc. I centralini di questo giornale sono stati roventi ieri. Qualcuno ci ha insultato, altri ancora si sono scandalizzati. Ma quella foto non ritrae l’orrore. Non è un corpo devastato. Non c’è un rivolo di sangue. È l’immagine di un bimbo. Ma è anche la testimonianza di un’assenza. Per nessun altro motivo al mondo l’ho pubblicata e oggi la ripropongo. Perché, Marco, quando io e te discutiamo di aborto, parliamo di lui. Come è possibile estirpare quella presenza dalle nostre piccole ragioni? Tutti i giorni siamo attraversati dai drammi della vita e dalla scure della morte. Talmente attraversati da avere la pelle dura. Notizie e immagini hanno reso quotidiano ogni orrore e quel tremito naturale di umanità che almeno una volta tutti abbiamo provato, sembra essersi spento come la luce fioca di una candela. Che l’aborto sia una tragedia, una scelta disperata sul filo della vita e della morte, lo posso comprendere. Per questo non sono colpito dai numeri, che pure sono un fatto, dai casi dimezzati delle italiane che quella decisione hanno preso. Sono spaventato da qualcosa che non ha numeri a sostegno, ma un’evidenza terribile: l’anestesia sparsa generosamente su ogni orrore, dolore, disperazione, dramma. Sulla vita e sui fatti. Mi terrorizza che una foto come questa indigni e faccia orrore. È l’immagine di un fatto, che nessun medico, nessuna pillola abortiva può togliere di mezzo. Bisogna parlare di lui, Marco. Perché c’è. E nessuna legge può girarci intorno. Vale la pena anche sparare sul Cristallo rosso, come dici tu. Perché ridurre la nostra esistenza al «taglia e cuci» è un po’poco, no? Di che discutiamo io e te, se dovessimo rassegnarci a quello? Perché io dovrei fare il giornalista e tu il politico? E perché un medico scegliere il suo mestiere? Possiamo volere sussultare ancora, sentire qualcosa facendo il nostro lavoro, pensare alla possibilità di una diversità più adatta alla nostra natura e al nostro cuore? Non mi sembra poco nemmeno la solitudine cui dovremmo lasciare due ragazzi con un dramma grande così. Scusami se non mi rassegno. Ma è per tentare una risposta a quella solitudine che serve una legge, che ha un senso costruire ospedali, trovare risposte ai problemi. Sì, anche parlare della legge 194 sull’aborto e della possibilità di cambiarla. Proviamo a riparlarne partendo da quella foto, da quei due fidanzati lasciati allo sbando, da parole come le tue che non la pensi come me eppure provi ad ascoltare, a guardare e capire. Ripartiamo da qui.
Franco Bechis

7.12.05

L'Europa gioca alla pace

Il viaggio in Germania di Condoleeza Rice, segretaria di stato Usa, ha fatto conoscere all’opinione pubblica europea una verità che la maggior parte dei governi aveva taciuto. Rice ha rivelato che – udite, udite - è in corso da qualche anno, più precisamente dall’indomani dell’ 11 settembre 2001, la guerra al terrorismo, dopo che per molto tempo la parte libera del mondo aveva subito inerme la guerra del terrorismo. Rice ha detto che questa guerra comporta operazioni di intelligence, segrete, e metodi al di fuori delle procedure giudiziarie. Fra questi in particolare il prelevamento di sospetti terroristi e la loro restituzione ai paesi d’origine. E anche, sospettano molti (ma Rice non l’ha ammesso) la loro cattura e detenzione in carceri segrete. Queste pratiche – ha aggiunto - hanno sventato attentati salvando molte vite ed è sempre stata rispettata la sovranità dei singoli Stati. Rice ha negato l’uso o il permesso d’uso della tortura, ma ciò che chiama “rendition”, restituzione, e dichiara legale per gli Usa, secondo le leggi europee si chiama “rapimento”. E questo apre il problema della convivenza fra un codice scritto che presuppone la pace e una situazione reale in cui si combatte una guerra. Gli Usa hanno deciso di affrontare il problema; i governi europei, nella loro generalità, preferiscono continuare a giocare alla pace.
Per quieto vivere, certo, ma anche perché è difficile sfidare il senso comune antiamericano che permea la cultura politica europea. Prendiamo il caso italiano. Prima pagina del Corriere della Sera di domenica 4 dicembre. Enzo Biagi scrive di aver individuato “fra le tante foto di uomini, donne e bambini uccisi dal fosforo bianco degli americani a Falluja nel novembre del 2004” il corpo di un giornalista e chiede che la sua foto diventi un simbolo di cosa è la guerra. E fa esempi analoghi: il giovane cinese di fronte al carro armato in piazza Tienanmen, il ragazzino con le mani alzate nel ghetto di Varsavia fra le SS, Hiroshima, l’ultima foto di Enzo Baldoni, quella di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
I comunisti cinesi che stroncano nel sangue una manifestazione pacifica, i nazisti che liquidano a sangue freddo i bambini ebrei, i tagliagola iracheni e somali e le bombe americane a Falluja. E’ la stessa storia? No, non lo è. Sotto l’apparente buon senso c’è una sostanziale mistificazione. L’assimilazione degli Usa ai nazisti, ai tagliagole e alla dittatura comunista cinese è il messaggio implicito. Che inganna e confonde. A Falluja l’esercito Usa ha ingaggiato una battaglia contro il quartier generale dei miliziani legati a Saddam Hussein e Al Qaeda dopo aver fatto evacuare dalla città circa 300 mila persone. Il fosforo bianco è stato utilizzato come arma in zone circoscritte dove era inefficace il ricorso ad altre armi. Ci sono stati morti fra i civili che non avevano obbedito all’ordine di uscire dalla città o per scelta o perché i terroristi islamici sono abituati a farsi scudo di donne e bambini. Biagi elogia i giornalisti di Rainews 24 che hanno divulgato la notizia. Ma quel servizio era ingannevole sulla questione fondamentale, la denuncia dell’uso di un’“arma chimica”. Il fosforo bianco è un’arma terribile, ma solo diversamente terribile dai “normali” ordigni utilizzati in guerra. E’ un “arma incendiaria” e il suo uso è ammesso dalle convenzioni Onu. Se Rainews avesse denunciato l’utilizzo di un’arma più crudele delle altre avrebbe reso un servizio alla verità. Se avesse avviato una campagna per chiedere agli Usa di rinunciarvi avrebbe fatto una cosa degna. Ma non avrebbe incassato alcun beneficio politico. Rainews ha anteposto alla verità e alle cose utili e degne il sentimento più diffuso e rispettato, l’odio contro gli americani, alimentando il sostegno internazionale alla “resistenza” irachena che dalla Salò di Saddam organizza ogni giorno massacri con le armi politicamente corrette dei kamikaze e delle auto-bomba.